
Il report BCG, Why Children Are Unsafe in Cyberspace, ha raccolto dati su un campione di 41mila fra bambini e genitori in 24 Paesi nel mondo. I risultati parlano di un 93% di minori, fra gli 8 e i 17 anni, che navigano su internet e di un ampio 72% che dice di aver sperimentato almeno una situazione di rischio. Solo il 40% parla con i genitori di questi episodi, sebbene l’80% vorrebbe farlo, segno delle barriere ancora esistenti derivate dalla paura, ma anche dall’incertezza su cosa sia esattamente un pericolo nel mondo virtuale.
“Quasi tutti i bambini sono ormai connessi a Internet, specialmente da quando abbiamo fatto ricorso alla didattica online, durante i mesi di lockdown. Basti pensare che l’età media di ingresso sulla rete è di 12 anni – spiega Paola Francesca Scarpa, Managing Director e Partner di BCG – è essenziale affrontare il tema della sicurezza dei bambini nel cyberspazio, sviluppando soluzioni per controllare i rischi associati alla navigazione sul web”.
L’81% del campione considerato è su internet tutti i giorni, il 45% per più di tre ore al giorno. Le minacce più frequenti incontrate sono pop-up e pubblicità indesiderate, ma per il 20% emergono anche casi di cyber bullismo e tentativi di approcci sessuali. In alcune parti del mondo il fenomeno risulta più forte: in America Latina il 70% dei bambini è già online a soli otto anni, percentuale che scende al 65% nel Medioriente e Nord Africa, al 50% nella regione asiatica-pacifica e al 48% in Europa.
Le famiglie sono il primo argine alla diffusione dei cyber attacchi ai minori, ma solo il 39% dei genitori ha dichiarato di aver parlato con i figli di questi episodi. La percentuale di genitori che controlla regolarmente l’attività dei propri minorenni è del 60%, ma troppo spesso si pensa che, per prevenire esperienze pericolose, sia sufficiente impostare limiti alla navigazione, che avviene nel 75% dei nuclei intervistati. Meno della metà degli adulti ascoltati si rivolge alla polizia e informa la scuola in caso di esposizione a rischi da parte dei minori.
Nonostante esistano almeno 60 organizzazioni con programmi specifici per proteggere i bambini dalle insidie della rete, secondo lo studio occorre una maggiore cooperazione tra Paesi a livello internazionale.
Bisogna coinvolgere anche le società dietro ai siti maggiormente frequentati dai minori, quali social network, gaming e big tech come Apple e Microsoft. Le società informatiche devono lavorare su più fronti: dall’aumento degli standard industriali, all’introduzione di nuove misure di sicurezza.
Risulta fondamentale investire nella formazione di figure professionali che educhino i minori a schivare le minacce in rete, anche perché nelle scuole i programmi di prevenzione e sensibilizzazione adottati fino a questo momento non hanno dato i risultati sperati.