TECNOLOGIA

Stelle e quadrumani

Nella notte italiana, il James Webb Telescope ha inviato la sua prima immagine dell’Universo, scattata ad una distanza e con una chiarezza mai ottenuta prima.

La scienza astronomica fa un balzo da gigante rispetto alle pur straordinarie osservazioni condotte da Hubble, il primo telescopio spaziale che ci ha per la prima volta restituito immagini delle galassie intorno a noi non perturbate dall’atmosfera.

Come l’amministratore in carica della NASA ha detto al presidente statunitense Joe Biden durante la conferenza stampa di presentazione, questa immagine rappresenta per dimensioni una porzione dell’Universo paragonabile ad un granello di sabbia tenuto alla distanza di un braccio dai nostri occhi.

E in questa minuscola porzione di cielo, ogni fonte luminosa che contiamo è una galassia, alcune più chiare con i loro bracci a spirale; altre, più distanti, che vediamo solo come puntini.

La luce proveniente da queste galassie è partita tredici miliardi di anni fa, molto tempo prima della formazione della Terra, che ha un’età stimata intorno ai quattro miliardi e mezzo di anni. Ciò vuol dire che le galassie rappresentate in questa foto potrebbero anche non esistere più: non stiamo guardando un’immagine in tempo reale, ma aprendo uno scrigno del tempo.

Ciascuna galassia contiene miliardi di stelle, ed ognuna di queste stelle ha decine di esopianeti che vi orbitano intorno. Chissà in quanti c’è la vita – chissà in quanti altri essa è nata e si è spenta prima che il nostro pianeta si formasse.

E qui sulla Terra, l’insignificante terzo pianeta che orbita intorno ad una piccola stella, una specie di quadrumani da poco evoluti ancora non è riuscita a liberarsi dal proprio retaggio infantile, e disputa brandelli di terreno come i suoi antenati arboricoli disputavano la propria posizione su rami di un baobab.

Smettetela, imbecilli, guardate là fuori.

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