CITTADINI & UTENTI

Il trolling etico come leva per i diritti digitali

La provocazione ha obiettivi indiscutibili, ma le modalità sono oggetto di discussioni

Oggi, se vuoi farti ascoltare, non è più sufficiente battere educatamente sulla spalla delle persone, devi colpirle con un maglio e solo allora ti concederanno piena attenzione.”. Questa una celebre citazione dal film Seven che ben potrebbe applicarsi al contesto digitale in cui – stando all’esperienza comune – le voci e i contenuti sembrano condannati o alla rarefazione o ad annegare nell’infodemia. 

Dura la vita dell’attivista di diritti digitali? Senz’altro, si trova a contemplare un panorama in cui diventa difficile far corrispondere i desiderata al praticabile salvo applicazione di un pensiero laterale. Ma il pensiero laterale non è immune all’errore, soprattutto se accelerato dalla propulsione della spinta ideologica.

In questi giorni è stato pressoché impossibile non essere incappati in una discussione su tale Federico Leva. Seguendo l’onda post-Schrems II che ha portato all’iniziativa di hacktivism di MonitoraPA, nonché quella prodotta dal noto provvedimento del Garante Privacy su Google Analytics, è stato l’autore di un invio massimo ed automatizzato di migliaia di e-mail il 29 giugno rivolte nei confronti dei gestori di siti web con installato Google Analytics aventi ad oggetto “Uso illegittimo di Google Analytics: richiesta di rimozione ex art. 17 GDPR”.

In un’intervista con Matteo Flora, l’autore dell’iniziativa ha avuto modo di dettagliare le proprie motivazioni e i feedback ricevuti, qualificando la serie di richieste svolte non soltanto come un esercizio di diritti ma anche come una modalità per “informare le persone” del provvedimento del Garante. Non ha nascosto affatto che l’esercizio del diritto sia pacificamente consistito anche in un’iniziativa di attivismo digitale. Insomma, nel suo parlare “da un punto di vista di imperativo categorico kantiano” ha rivelato come le ragioni profonde del gesto eclatante e che ha generato così tanta risonanza in pochissimi giorni riguardano degli obiettivi indiscutibili quali la tutela dei diritti digitali dei cittadini.

Ma se gli obiettivi e i moventi sono indiscutibili, le modalità di presentazione dell’iniziativa e di conduzione dell’azione, invece, sono state argomento di ampia ed affollata discussione non esente da critiche. Dai dibattiti esplosi sui social dopo il 29 giugno, si può rilevare che l’azione abbia avuto l’effetto di generare una gamma di reazioni nei destinatari – e ancor più nei loro consulenti – accomunate dalle tinte comuni dell’irritazione o finanche del disturbo.

Insomma: stando alle modalità di svolgimento e all’impatto prevedibile, si possono riscontrare facilmente tutti gli elementi oggettivi di una provocazione o altrimenti – nel gergo di internet – di trolling. Viste le ragioni di fondo che hanno condotto l’iniziativa, nonché gli obiettivi che intende perseguire, è corretto semmai parlare di ethical trolling

Al netto degli effetti negativi generati, però, questa non è stata altro che una delle molteplici modalità di espressione di un attivismo digitale che molti già stanno intraprendendo e hanno intrapreso. Naturalmente imperfetta nei modi, perché per ragioni di contesto è ben lungi dall’essere infallibile nell’attuazione, ma indubbiamente è in grado di far parlare di sé. Tutto sta ora nell’evoluzione: la scommessa riguarda il potenziale di stimolare – o provocare – una più ampia discussione riguardante il mondo digitale e dei relativi diritti. 

Insomma: che il fenomeno del trolling etico possa essere una leva (nomen omen) di attivismo e promozione efficace dei diritti ce lo potrà dire solo il tempo.

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