AMBIENTE ED ENERGIA

Altri giramenti di pale…

L’eolico sta continuando ad imperversare tra le fonti alternative. Ma non piace a tutti, soprattutto in Sardegna

Notizie di queste ore riportano ulteriori iniziative di “colonizzazione” dei mari della Sardegna con campi eolici offshore di proporzioni piuttosto importanti.

Risultano infatti presentate progettualità di sfruttamento dei movimenti eolici nelle aree marine a nord e nord-est della Gallura (notoria “fabbrica del vento”), che si aggiungono alla ipotesi di installazione nelle acque antistanti Capo Teulada e l’arcipelago del Sulcis (San Pietro e Sant’Antioco), al sud-ovest dell’isola.

Luoghi, tutti, meravigliosi, più o meno conosciuti o affollati d’estate, e favolosamente deserti d’inverno, da godere con il clima dell’Isola che – ordinariamente – fa dimenticare piumini e cappotti per la gran parte dell’anno.

Il vento è davvero padrone dei mari che circondano la Sardegna, e ciò non è sicuramente sfuggito ad investitori che hanno dedicato la loro attenzione al lucroso business delle produzioni energetiche alternative. Se a ciò sommiamo l’atavica “fame di energia” dell’Isola (sostanzialmente priva di produzione endogena sufficiente), i proponenti questi progetti hanno avuto strada facile nella costruzione di ipotesi di installazione.

Tutto bello, tutto regolare? No, parrebbe.

Il popolo sardo, notoriamente fiero e “geloso” del proprio territorio, certamente stanco di secoli di depredazione naturale, invaso da iniziative industriali (del passato recente) risultate fallimentari o particolarmente “cattive” nei confronti dell’ambiente, isolato dalle fonti di energia e costretto a bruciare carbone (finché si può) o gas (che arriva via nave…) oppure a importare elettroni dal continente o dalla Sicilia (!!) con quello che viene chiamato “il guinzaglio”.

No, i discendenti dei fieri guerrieri Shardana non ci stanno. 

I quotidiani locali hanno da tempo ingaggiato una vera battaglia contro le richieste di concessione di parchi eolici offshore, richieste che (a parere dei giornalisti) sono state presentate “in sordina” e forse non attraverso i canali canonici. Oltre a ciò, oggettivamente a parere anche di chi vi scrive, forse si sta un po’ esagerando: si parla da ultimo di 210 torri eoliche galleggianti con altezze fino a 385 metri.

E la questione più imbarazzante sembrerebbe quella relativa alla destinazione della produzione: la rete non sarebbe destinata a riversare l’energia sull’isola, continuando quindi a mantenerla “dipendente” dall’importazione.

Tralascio le questioni ambientali e paesaggistiche (alcune delle quali – sempre in via del tutto personale – condivisibili, come nel caso della piana ad est di Sassari nei pressi di quel gioiello che è la Basilica di Saccargia anche se, a dire il vero, già sono presenti impianti eolici di generazione precedente, forse da aggiornare).

Ora, al di fuori delle contingenze locali, il problema mi pare decisamente strutturale (e lo dico da residente).

Punto primo: in Sardegna non c’è il gas, nessuno. Non ci arriva, se non importato in contenitori sotto forma di GPL o GNL da rigassificare e, in minima quantità, metano.

Punto secondo: il GALSI (acronimo di Gasdotto Algeria Sardegna Italia), costituito da tre “tratte” principali (sottomarina Algeria/Sud Sardegna – tratta terrestre Sud Sardegna/Olbia – di nuovo sottomarina Olbia/Piombino) risulta in stato di comatosa prognosi (ultime versioni del sito web a metà 2013). 

La partenza era stata prevista dal sito costiero algerino di El-Kala (destinazione del famigerato “gasdotto algerino GK3” che ha causato parecchi guai a ENI, SAIPEM e Scaroni) verso un sito di atterraggio nel sud dell’isola (Porto Botte, sul Golfo di Palmas) per la successiva ramificazione e instradamento verso Olbia (scavalcando 300 corsi d’acqua, deviandone circa 50, e attraversando 14 passaggi ferroviari e 108 stradali – da cui la fiera resistenza locale ambientale all’idea).

L’origine del progetto risale all’accordo Algeria-Italia del 2009, tra le cui clausole era appunto la realizzazione della condotta per il trasporto del gas verso l’Italia, attraverso la Sardegna e con una successiva “diramazione” verso la Corsica richiesta da Sarkozy. Termine previsto 2012, ma già nell’anno precedente qualcosa cominciava ad andare storto: l’enorme potenza di Gazprom stava schiacciando letteralmente la società algerina Sonatrach, azionista di maggioranza del GALSI, e il progetto venne di fatto congelato con una sospensione sine die molto italica e diplomatica, giustificata dalla instabilità politica algerina (e forse dai contratti con Gazprom…).

Questa situazione di stallo è stata aggravata dallo “sfilamento” della Regione Sardegna dal progetto (di cui deteneva una quota dell’11,6% tramite la propria finanziaria in-house SFIRS S.p.A.) e alla promessa di “strade alternative” per portare il metano sull’isola.

Ad oggi, nulla di tutto ciò, i 285 km di condotta sottomarina e i circa 350 km terrestri fino ad Olbia sono svaniti come gas…

Qualche spiraglio nello scorso mese di marzo, in cui voci dall’Algeria riferivano che il progetto, seppure non in alta priorità, era tornato sui tavoli dei decisori, anche se in secondo piano rispetto al gasdotto MEDGAZ che, sempre dall’Algeria, conduce alla Spagna continentale.

La crisi ucraina sicuramente potrebbe nuovamente portare energia al progetto, per il quale il direttore dei progetti di Sonatrach, Lazhar Mahboubi, ha confermato che l’idea di collegare l’Algeria alla Sardegna “non è mai stata cancellata”.

Nel frattempo (a parte i circa 5000 utenti che da ottobre 2021 fruiscono dei 1100 km di rete distributiva di metano Italgas nelle province di Sassari e Oristano), il resto della Sardegna va avanti con le bombole o (i più fortunati) con le reti cittadine di aria propanata, derivate dagli impianti di produzione (ormai è rimasta praticamente solo la raffineria di Sarroch) e destinatarie anche del traffico di autobotti su e giù per l’isola.

La vulgata racconta che il metano fu all’epoca barattato con la salvaguardia dell’occupazione dei minatori del Sulcis, per l’estrazione del poco carbone rimasto nelle miniere e destinato al funzionamento delle centrali del Sulcis e di Fiume Santo/Asinara. Ma le spinte alla decarbonizzazione condurranno inesorabilmente alla ricerca di soluzioni alternative, anche se si cerca affannosamente di spostare sempre più in avanti la deadline

E anche la soluzione alternativa proposta non piace alla popolazione, che si troverebbe al “guinzaglio” con i cavi sottomarini della tratta est del Tyrrhenian Link che forniscono energia dalla Sicilia (dove la produzione può assicurare l’esportazione verso altre regioni), parzialmente mitigata da un progetto di due impianti d’accumulo in appoggio alla produzione da rinnovabili ideati da Terna.

Insomma, sempre alle rinnovabili andiamo, anche se esistono parecchie alternative alle classiche pale eoliche HAWT (Horizontal Axis Wind Turbine): abbiamo già parlato su queste colonne del “tubo che oscilla”, e l’inventiva e l’osservazione della natura conducono a soluzioni che stanno tra il geniale (per esempio la moltitudine di sistemi VAWT – Vertical Axis Wind Turbine – variamente declinati) e l’originale (il grazioso “WindTree” sviluppato da un’azienda francese). 

Se desiderate approfondire, segnalo un video che, in pillole, può orientare su pro e contro degli impianti HAWT e VAWT.

Comunque, volenti o nolenti, le pale girano sempre.

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