AMBIENTE ED ENERGIA

Le Bugie di Biden agli americani sulla politica energetica

La dura critica di Michael Shellenberger, giornalista di sinistra ed ex candidato democratico alla carica di governatore della California, a Joe Biden, per aver mentito al popolo americano sulla politica energetica

Mike Shellenberger è uno scrittore, giornalista ed opinionista americano il cui più recente lavoro appare focalizzato sul cambiamento climatico, energia nucleare e politica.

Shellenberger, sostenitore di Biden durante la sua campagna elettorale nel 2020, appare su un video pubblicato domenica sera sul suo canale YouTube, dove afferma che le testimonianze espresse dall’amministrazione americana in carica sullo stato del settore energetico nazionale, sarebbero imprecise nei fatti e deliberatamente fuorvianti. 

In particolare il giornalista alluderebbe alle dichiarazioni secondo cui la carenza di investimenti su produzione e raffinazione di petrolio sarebbe il risultato dell’avidità delle aziende piuttosto che della politica dell’amministrazione Biden.

Il non lontano 21 giugno Joe Biden aveva ammesso pubblicamente per la prima volta la necessità di estendere il volume nazionale di raffinazione del greggio per far fronte alla carenza di benzina e diesel ed al conseguente aumento del costo energetico.

Almeno nelle apparenze, Biden sembrava essere disposto ad implementare tutte le misure in suo potere al fine di abbassare i costi energetici. Allentare le sanzioni al Venezuela con l’obiettivo di aumentare le importazioni di petrolio. L’auspicato viaggio del presidente in Arabia Saudita con l’intenzione di migliorare le relazioni e incrementare produzione e importazione. E la dura lettera di qualche tempo fa indirizzata a Exxon e ad altre compagnie petrolifere, esortandole a rimboccarsi le maniche e produrre di più.

“In un momento di guerra,” scrive Biden, “continuare a produrre alti margini di profitto passando invece i costi direttamente alle famiglie americane non è accettabile. Le aziende devono intraprendere azioni immediate per potenziare la produzione di benzina, diesel e altri prodotti raffinati.”

Ma la realtà è ben diversa. Nessuna delle misure adottate è in grado di originare l’auspicato ridimensionamento dei prezzi dell’energia e Joe Biden ne è perfettamente consapevole. Incrementare la produzione di petrolio in Venezuela a livelli rilevanti richiederebbe anni e non sarebbe sufficiente a compensare il calo delle importazioni di petrolio dalla Russia. Anche l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti insieme non potrebbero produrre quantità di petrolio sufficiente a compensare tale scompenso.

Gesti del genere, seppur pressoché inutili, hanno lo scopo di dissimulare l’ostilità che l’amministrazione Biden ha indirizzato verso le compagnie petrolifere e del gas dalla sua entrata in carica. Paradossalmente, la vera linea programmatica di questa amministrazione si esprime forte e chiaro attraverso gli ostacoli posti alle attività di produzione del prezioso combustibile. Nel mese di marzo, Biden ha revocato il permesso di espandere la sua produzione ad una grossa raffineria nelle Isole Vergini americane.

Durante il mese di maggio l’amministrazione ha cancellato una enorme concessione da un milione di acri di terreno dedicati alla perforazione e produzione di petrolio e gas in Alaska. E all’inizio di questa settimana, il senatore democratico Ron Wyden ha proposto una nuova tassa sui profitti dell’industria petrolifera che i funzionari di Biden affermano incontrerà il pieno supporto del Presidente.

Il gioco di “fumo e specchi” di Biden risponde a schemi cui oramai si è abituati, all’interno dei quali al tentativo di confondere le idee segue sempre quello di puntare il dito altrove per “ridirigere” responsabilità verso individui, entità o circostanze diverse da quelle reali.

La sua amministrazione è al centro di gravi critiche  a causa del continuo aumento dei prezzi della benzina e dell’inflazione cavalcante e ci sono seri dubbi che le elezioni di metà mandato possano concludersi in maniera soddisfacente per Biden ed il partito democratico.

 “Avremmo potuto chiudere un occhio sui metodi omicidi di Putin”, ha dichiarato Biden durante un breve discorso alla Casa Bianca di qualche giorno fa. 

“Il prezzo del gas non sarebbe salito come ha fatto. Ma credo che (questo approccio NdR) sarebbe stato sbagliato.”

“State dicendo che preferireste avere prezzi della benzina più bassi in America e lasciare che Putin eserciti il pugno di ferro in Europa? Non credo proprio.”

Qualche specchio in più, una spruzzatina di fumo qua e là, e il gioco è fatto.

Ma il capogruppo repubblicano di minoranza della Camera Steve Scalise sembra immune a tali stratagemmi: “I democratici hanno usato spudoratamente la pandemia per perseguire i loro sogni socialisti di dipendenza dal governo”, ha detto. “Hanno pagato le persone per non lavorare, distribuito grandi capitali, e ampliato i programmi di assistenza sanitaria del governo – incuranti dell’inflazione che (tali iniziative NdR) avrebbero causato.”

Wendy Schiller, direttrice del Center for American Politics and Policy presso la Brown University, ha detto “Tutti i presidenti sono in genere ritenuti responsabili per lo stato economico del Paese in cui sono in carica, ma da quando la presidenza di Franklin Delano Roosevelt ha determinato e scandito la fine della Grande Depressione con il “New Deal”, l’intensità delle aspettative e la percezione della responsabilità attribuibile alla presidenza per le condizioni economiche del Paese da questa governato sono diventate impossibili da negare.”

“Una possibile via di salvezza per Biden, anche se troppo tardi per i democratici del Congresso” ha detto, “è che ha ancora due anni per stabilizzare la situazione.”

Lo slogan “Build Back Better” così tanto usato da Biden ed il partito democratico in campagna elettorale e ridicolizzato dalla situazione economica in cui versa il Paese, assume in questo momento, nuove valenze come ispirazione di meme poco rassicuranti.

Non ci sono dubbi. Andrà tutto bene

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