
La mia fortuna, per l’argomento che vorrei trattare in questo pezzo, è che non devo spiegare ciò di cui parlerò.
I mattoncini LEGO sono ormai praticamente parte integrante della vita di ognuno di noi. I più giovani, perché li usano, quelli della nostra età perché li hanno usati da bambini degli anni 70 e 80 (e forse ci giocano tuttora con i propri figli…), ed i “nonni” perché, almeno sotto Natale, vedono le letterine dei nipoti piene di indicazioni di strani codici numerici, che rappresentano i vari set che vorrebbero trovare nella calza.

La storia dei mattonicini nasce negli anni ’20, nella falegnameria di un signore danese, Ole Kirk Kristiansen, che si dilettava nella costruzione di giocattoli in legno. Tra questi, perfezionò nel tempo l’idea di realizzare dei mattoncini componibili che potessero essere solidamente fissati l’uno all’altro e, idea dopo idea, giunse il 1932 con la fondazione di un’azienda che prese il nome LEGO, abbreviazione delle parole danesi “leg godt”, cioè “gioca bene”.
La principale caratteristica di LEGO è che è, da sempre, un’azienda familiare, passata di padre in figlio fino all’attuale proprietario, Kjeld Kirk Kristiansen, pronipote del fondatore.
Il gruppo LEGO, tra alti e bassi, periodi di crisi industriale, la carenza delle materie plastiche in certi momenti, qualche scelta societaria errata, sta conoscendo da qualche anno una nuova primavera, soprattutto grazie ad una penetrazione pubblicitaria rimarchevole (e, incredibilmente, non condotta con la presenza di spot), gestita soprattutto tramite i negozi flagship in molti centri commerciali, la diffusione anche nella grande distribuzione, il fiorire di gruppi di “Adults Fan”, iniziative di compartecipazione alla creazione di nuovi modelli, la realizzazione di film d’animazione simpaticamente intriganti e basati sui personaggi e i modelli in vendita, la partnership con importanti produzioni cinematografiche ed editoriali (Star Wars ed Harry Potter, solo per citare le più eclatanti).
Insomma, un grande passaparola che si autoalimenta, con i papà che acquistano scatole con la scusa di regalarle ai figli, ma in realtà per cimentarsi, inforcati gli occhiali, nella certosina costruzione di modelli ormai sofisticatissimi, grazie anche alla enorme quantità di pezzi “speciali” e colori a disposizione.
“Ai miei tempi” avevamo solo due colori (rosso e bianco), oltre al verde per le tegole. Mattoncini 2×2, 4×2, 8×2, archi da 12×2, finestre a grata con le persiane verdi, porte bianche all’inglese. Fine. Ero talmente fortunato da possedere un paio di fustini di Dixan (rigorosamente ricoperti con carta adesiva da mamma) con i mattoncini e le prime ruote, nel frattempo arricchiti dai primi set “Legoland” che riproducevano piccoli scenari (scavatrice, auto da rallye, autoscala dei pompieri), e che in piccola parte ancora possiedo.

Oggi LEGO propone set da far impallidire gli ingegneri, tanta è la complessità costruttiva (in senso buono) e la soddisfazione nella realizzazione.
La funzione educativa
Io sono un po’ di parte, sono appassionato, e ho fatto appassionare i miei figli e mia moglia. Cerco di mediare in un giusto mix di giocabilità (per i più piccoli e con set più “solidi” o divertenti, come la serie di Super Mario Bros., davvero divertente) e di sfida costruttiva (nella quale mio figlio grande, ora decenne) mi segue con grande passione. Mi piace il metodo, la necessità di osservare e seguire le istruzioni, la scoperta di soluzioni d’incastri e meccanismi davvero sorprendenti, la genialità dei progettisti nel riprodurre oggetti reali che funzionano.
Abbiamo davvero tanti set, alcuni sono esposti in bella mostra in salotto, normalmente sul tavolo c’è almeno un vassoio con qualcosa in costruzione, e tante tante scatole con le buste dei vari set che periodicamente riportiamo in vita fino alla ribellione di chi deve spolverare o rassettare la casa.
In famiglia viviamo l’esperienza LEGO come un momento di aggregazione, insieme intorno al tavolo, babbo che inforca gli occhiali e le agili piccole dita dei bambini che sono incaricate degli incastri più minuscoli.
Tuttavia, sia la stessa azienda, sia alcuni brillanti “clienti” hanno percepito un ulteriore sviluppo educativo per i mattoncini.
Da tempo LEGO ha in catalogo un programma dedicato alla gestione manageriale, un “gioco di ruolo” che utilizza i mattonicni e dedicato al team building e alla collaborazione d’impresa nelle aziende.
Il progetto “Serious Play” infatti, è iniziato come “un processo esperienziale progettato per l’uso in workshop guidati con adulti per stimolare il dialogo e incoraggiare la riflessione, oltre che per sviluppare le capacità di risoluzione dei problemi e l’uso dell’immaginazione. Tuttavia, i set SERIOUS PLAY® come lo Starter kit sono adatti anche per sviluppare le capacità di pensiero critico nei bambini dai 6 anni in su. Ogni set è progettato per incoraggiare diverse abilità, come la riflessione e il dialogo, al fine di migliorare l’esperienza del workshop. Questo approccio innovativo all’interazione è una risorsa preziosa nel mondo aziendale e nella didattica, aiutando i partecipanti ad aprirsi attraverso il mezzo facilmente accessibile del gioco”.
Una nuova idea
Alla fantasia non c’è mai limite. Riccardo Bonomi, insegnante di chimica presso l’Istituto Comprensivo di Siziano (PV) è partito da una semplice osservazione: “I mattoncini Lego si combinano e si ricombinano, diventando sempre cose diverse. Non è forse quello che accade nella chimica con atomi e molecole?”

Da qui, la creazione di un metodo e un sistema per la rappresentazione “aumentata” della Tavola Periodica degli elementi, in cui alla classica classificazione numerica e posizionale, si accompagna la rappresentazione “solida” utilizzando i mattoncini.

Ogni elemento viene rappresentato da un mattoncino di diversa dimensione, corrispondente al suo numero atomico (ah, fossimo stati attenti alle lezioni di chimica alle superiori!!) che viene graficamente integrato nella Tavola di Mendeleev, e l’elemento base per la costruzione delle molecole è costituito da una baseplate 2×4, che rappresenta l’”ottetto” fondamentale per la stabilità di ogni composto chimico.
Così, con semplicità ed intuito, si giunge a comporre i vari elementi e a costruire le reazioni chimiche stabili, semplicemente osservando le posizioni “libere” nelle baseplate e completando i legami in modo da riempire tutti i “posti liberi”.
Il metodo, ovviamente supportato da una base teorica che non può prescindere dallo studio tradizionale dei fondamenti della chimica, favorisce l’apprendimento e l’agilità nella comprensione della materia, equalizzando il percorso didattico per gli studenti, siano svogliati, gifted o semplicemente “non portati” per le materie STEM.
Il metodo di Bonomi, che già utilizza da qualche anno, lo ha condotto ad un prestigioso riconoscimento qualche settimana fa, in cui è stato insignito del premio “Atlante – Italian Teacher Award”, patrocinato tra gli altri da Repubblica, Regione Lazio e dalla Varsey Foundation, che a livello mondiale organizza il Global Teacher Prize, una sorta di “Nobel per i docenti”.
Ancora complimenti a Riccardo Bonomi che, con orgoglio, conosco personalmente, soprattutto per le sue performance musicali con la Nat Soul Band.
È questione di chimica.
(LEGO® è un marchio registrato e copyright di LEGO Group. ©2022 The LEGO Group)