TECNOLOGIA

Lo strano mercato dei microchip: c’è dietro qualcosa?

Per la prima volta l’innovazione segna il passo per carenza di materiali. La fisicità si vendica. Platone o Aristotele?

Gli ultimi drammatici anni dell’umanità potrebbero passare alla storia come “la vendetta della fisicità”. Da troppo tempo sollevati nell’iperuranio delle idee, dei principi, di qualsiasi causa purchè non nostra, non vilmente quotidiana, non legata alla nostra animalità, abbiamo dimenticato che esiste un mondo fisico. Ce lo hanno bruscamente riportato i virus, la guerra fatta di bombe e smembramenti di corpi e non di bit e byte o di he-she-they, le materie del sottosuolo senza le quali non ci riscaldiamo e non produciamo. Ce lo ha ricordato la fame di benessere, di partecipare al banchetto del superfluo, il cui grido di dolore da tante parti si leva verso di noi. Quand’è che un innocente fanciullo dirà: scusate, ma il re è nudo?, la nudità essendo che ci stiamo inventando un’incerta emergenza climatica, probabilmente interglaciale, per tagliare l’energia a chi vuole la sua fetta di superfluo. Insomma, la situazione fu ben dipinta dall’immane Raffaello nelle stanze vaticane con la Scuola di Atene. Platone indica l’iperuranio, Aristotele lo invita a stare con i piedi per terra, o sottoterra.

Veniamo quindi a un esempio di fisicità lampante. Molta della nostra cultura idealistica poggia sui computer e sulle telecomunicazioni, che a loro volta poggiano su materie prime rare e lavorazioni sofisticatissime. Ci rifiutiamo di tenerne conto, come quei bambini che per non sentire si tappano le orecchie e cantano sconclusionatamente. La domanda di semiconduttori, tirata soprattutto dall’automobile, è in forte crescita. La produzione mondiale dei chips elettronici invece stenta, cause:

  • Logistica macchinosa (materie prima da una parte, lavorazioni dall’altra, mercati polverizzati)
  • Pandemia a macchia di leopardo in vari paesi
  • Carenza di materie prime (contagocce intenzionale?)

Eppure non è una filiera complicata: materie prime semiconduttrici (il silicio è dappertutto, gallio in nitruro e arseniuro, germanio, tellurio) e purificazione se in forma semiconduttiva intrinseca; drogaggio  per ottenere le forme con impurità (elettroni o lacune) che attivano la semiconduzione dei non intrinseci; materie prime per gli strumenti di lavorazione; disponibilità di impianti controllati a camere pulite; gestione degli sfridi (la predicibilità della semiconduzione non è deterministica); verticalizzazione dei prodotti finiti per settore di applicazione. 

La guerra non contribuisce: p.es. il neon che serve per l’incisione laser dei wafer viene per il 50% dalle ormai tristemente celebri Mariupol e Odessa. E’ vero che la situazione ormai risale a Crimea 2014, quindi il mercato l’ha scontata cercando di fare scorte in Cina. Va allora ricordato che se quei territori passano in mano russa si profila un’altra dipendenza europea: tra Ucraina e Russia si divide il grosso delle produzioni anche degli altri gas nobili, argo, cripto, xeno.

L’Europa ha anche in questo campo lasciato languire le proprie produzioni e dandosi il solito obiettivo al 2030 (20% di produzione autoctona) ha in tutta fretta varato un Chips Act nell’ultimo biennio, quando il rischio non era tanto riferito a Ucraina e Russia, quanto all’ “aspra contesa” di omerica memoria tra USA e Cina. Gli olandesi di ASML hanno subito un giugulatorio veto americano a esportare in Cina i macchinari EUV per la lavorazione dei chips; il loro CEO Wennink, evidentemente dotato di una visione a lunga gittata, ha fatto una considerazione inquietante, dicendo che la politica di embargo e sanzioni rischia di minare, per effetto-domino, l’intero liberismo di mercato e in definitiva la democrazia della libera impresa. Ha anche aggiunto che così facendo si stimola la Cina a rendersi autonoma e capace di integrare le proprie produzioni: è il meccanismo del vaccino, ti danneggio ma tu svilupperai gli anticorpi. Va ricordato che ASML è oggi leader nell’EUV con l’80% di mercato, laddove i predecessori si chiamavano Nikon e Canon, per capirci. La tecnologia era stata sviluppata al centro interuniversitario di microelettronica di Leeuwen, in Belgio: Italia mia, dove sei? Stiamo ancora ai concorsi pubblici e alle rotonde stradali?

Alle polemiche dei quattro giri di boa, della conciliazione lavoro-vita? Gli altri conciliano, fanno figli, noi sappiamo solo sparare a chi ruvidamente chiede dedizione al lavoro e non solo tirare al 27 per pagare la rata del mutuo.

A questo punto, è utile vedere la panoramica del mercato di microchip applicati specificamente  in Europa nel campo più ricco di prospettive, l’automotive con le sue innovazioni di guida automatizzata:

Gli altri campi rilevanti sono l’industry 4.0, la difesa e l’aerospaziale. Si ha veramente la stranissima sensazione che qualcosa non torni: i settori sono tutti caldissimi, sono il futuro. Spaziano dall’elettronica di consumo alle applicazioni di estrema nicchia. I mercati finali sono lì con tovagliolo e posate. Eppure la produzione va a singhiozzo. Cherchez la femme, ovvero  cherchez la géopolitique

Il buco europeo si giustifica anche, ma non esclusivamente, con il fatto che le produzioni di smartphone, PC e similari non si fanno praticamente per nulla in Europa. Tuttavia, Intel ha ritenuto di potere individuare una nicchia e sbarcherà in Europa con una fabbrica da 17 mld€ a Magdeburgo (che così smetterà di essere nota solo per i cavalli che non riuscivano a separare le due semisfere tra cui era fatto il vuoto) e 4.5 mld€ dovrebbero piovere anche da noi, mentre il grosso sarà in Irlanda per il solito bengodi fiscale.

La bus-geopolitics, se possiamo varare questo presunto neologismo, cioè l’allaccio diretto e sistematico tra questioni d’affari e la loro rilevanza politico-strategica nello scacchiere internazionale divenuto ormai fluido, ha subito posto una questione: perché privilegiare l’americana Intel e non la franco-italiana STMicroelectronics? D’altra parte, se in Europa ci pestiamo i piedi sui cantieri navali, preferendo lasciarli in Corea che scambiarceli fra noi, perché lamentarsi?

Inoltre, Intel, che è stata pioniera tecnologicamente, risulta sopravanzata nella nanometrica: oggi solo tre gruppi, tutti asiatici, sono in grado di lavorare sotto i 7 nm e Intel deve rincorrere. Un nanometro è un miliardesimo di metro, in un millimetro ce ne sono 1 milione. L’investimento in Germania è in linea con i valori correnti per cui un’impianto a stato dell’arte comporta 20 mld€ di capex. In contemporanea, l’escamotage americano sarà verosimilmente quello di portarsi un’azienda asiatica a casa propria per inserirla in una filiera, puntando ai 5 nm che si profilano come la nuova frontiera. L’azienda è la taiwanese TSMC che sbarcherà in Arizona. Taiwan, sì.

Pechino considera l’isola di Formosa una sua provincia: anche qui storia, ragioni e torti si perdono nella notte. Il  Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping ha affermato che l’unificazione travalica gli aspetti economici (pare vero …) e non esclude di rinunciare all’uso della forza. Avete già sentito ultimamente discorsi come questo? Un libero capitalismo ai confini della Cina non può essere tollerato, come una NATO ai confini della Russia. La solita, ritrita analisi costi-benefici in stile occidentale è sia irrilevante che fuorviante, ormai lo sappiamo amaramente. L’unica variabile in questi casi è il calcolo dell’effettiva probabilità di successo. Quando il successo sarà probabile, la Cina agirà.

Al confronto, le bramosie di Putin per il Donbass sono pinzillacchere.

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