TECNOLOGIA

Cinguetteremo liberi e felici dentro Twitter?

La piattaforma privata può essere liberamente autoregolamentata

Dopo la promessa di Elon Musk per un Twitter più libero, viene da domandarsi se veramente ci si possa aspettare così tanto o se piuttosto non emergano alcuni scenari poco rassicuranti. Nella 41a puntata di Lo-ho

si è affrontato il tema ben più ampio di una democrazia digitale che oramai inevitabilmente transita attraverso i social network, filtrata da regole e politiche decise non più da ordinamenti statali ma da termini e condizioni d’uso. Regole sorvegliate, applicate e sanzionate dall’impiego di un algoritmo la cui impostazione è tutt’altro che neutrale ma esprime la volontà di attrarre quanta più partecipazione possibile e allontanare le responsabilità dal gestore della piattaforma. Si potrebbe ritenere – in modo polemico – che questi non siano nient’altro che atti di arbitrio nella sostanza che però possono produrre conseguenze pari a quelle che sono tipicamente riservate alla norma quali, ad esempio, l’esclusione (temporanea o definitiva) dalla partecipazione o la selezione dei contenuti accettabili o non accettabili. Il tutto con una possibilità di controllo giurisdizionale soltanto successivo, nelle forme di una lite fra privati nonostante la sostanza sia un enorme squilibrio delle posizioni coinvolte.

Qualcuno può dire che la piattaforma è privata e dunque può essere liberamente autoregolamentata. Eppure, la natura strettamente privatistica della stessa è controversa, visto l’impatto dirompente del media sulla società e la conseguente attrazione di un adeguato livello di responsabilità in capo al soggetto gestore. Fatto che è sotto le attenzioni di antitrust, autorità di controllo e dei legislatori.

Certamente l’esigenza di individuare framework comuni e standard diffusi di regolamentazione comporta interventi e cambiamenti dall’alto, ma ancor più efficace può essere un’educazione digitale degli utenti affinché comprendano in modo corretto la portata di diritti, rischi e comportamenti. L’effetto di una migliore cultura non può che produrre una differente domanda di servizi e un maggiore attenzione a determinate statuizioni e policy d’impiego. Sebbene ci si trovi nell’ambito di operatività di veri e propri monopoli digitali, un’utenza maggiormente selettiva e attenta invoca una migliore (se non addirittura diversa) offerta per ottenere una più ampia partecipazione e per l’effetto il ritorno economico che è ciò che move il sole e l’altre stelle delle Big Tech.

Dire che ora i cinguettii potranno essere più liberi e felici comporta non solo il rischio di distogliere l’attenzione dall’evidenza dalla presenza di una gabbia dorata, ma soprattutto ha l’effetto di confondere il ruolo dell’utente che si trova limitato ad una mera accettazione passiva e spesso acritica o inconsapevole di cambiamenti calati dall’alto ed espressi attraverso la “concessione” di diritti. Concessione che ha un sapore amaramente anacronistico pur all’interno degli ordinamenti democratici, ben distanti dalle epoche dei diritti ottriati, e dunque figurarsi se operata da qualche attore privato.

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