
Questa notizia dovrebbe fare riflettere. E’ un’ulteriore dimostrazione che le sanzioni europee non sono state pensate adeguatamente e che la compattezza finalmente trovata dalla UE purtroppo per una volta poteva anche attendere, coma fa di solito. Abbiamo già visto come gli interessi industriali e commerciali italiani in Russia sopravanzino quelli russi in Italia. Non era difficile prevedere che la Russia tentasse di imporre i pagamenti in rubli e ritorcesse misura per misura i sequestri a privati oligarchi di beni personali.
Chi la fa, l’aspetti. La confisca dei beni aziendali di imprese italiane in Russia sarebbe una escalation molto pesante. Non c’è solo l’escalation atomica da temere. Commettiamo un errore (incoraggiato da un certo filone di pensiero unico) a separare la vicenda bellica dalle sue conseguenze economiche. Queste ultime possono creare nel medio e lungo periodo danni di pari entità alla strage militare in corso. Già oggi l’effetto boomerang si fa sentire e sul sesto incauto package comprendente la rinuncia al petrolio la compattezza si è già sfaldata. Seguire la strategia americana, ormai resa più che palese dalle recenti visite in Ucraina, di combattere “fino all’ultimo” (all’ultimo soldato? all’ultimo civile? all’ultimo euro?) ci sta portando non sappiamo bene dove.
Visto che nessuno alza il telefono per chiedere secco a Putin a quali condizioni ferma l’inferno, visto che nessuno chiama Biden per dirgli fino a che punto, e non oltre, lo seguiremo, visto che lo stesso Santo Padre non mostra intenzione di mettersi in gioco proponendo una visita a Mosca troppo improbabile, sarà il caso di ricordarsi alcune cose o forse che se le ricordi il nostro governo, che non ha obbligo istituzionale di garantire la pace nel mondo (semmai quello di ripudiare la guerra, per Costituzione) ma ha quello di non mandare sotto un ponte la propria nazione.
Un paese che è indebitato internazionalmente per quasi due anni del proprio PIL ha una pesante spada di Damocle sulla propria libertà. Un paese che non ha indipendenza energetica, altrettanto. L’Italia appartiene ad ambo le categorie. Sul piano etico ciascuno può esprimere la propria opinione se questa condizione di rischio al quadrato pesi quanto la solidarietà all’Ucraina e il sospetto (per ora) che Putin stia attaccando la democrazia occidentale in toto. Sul piano istituzionale il governo ha il dovere di amministrare il Paese, le sue finanze, la sua occupazione, la salvaguardia della sua esistenza.
Dall’informazione mainstream sappiamo che “il governo è all’opera per assicurare l’indipendenza dal gas russo”. Parole tante ma nel concreto nulla più di questo. Abbiamo a suo tempo chiesto di vedere uno schema di lavoro, un tableau de bord che ci rendesse edotti di che cosa si stava facendo, a che prezzi, di mercato e geopolitici. Come un carillon, il governo è all’opera, il governo è all’opera… Non è la bretella di un’autostrada, è la nostra indipendenza energetica, cioè la nostra libertà, sic et simpliciter. Non può il Premier darci delle breaking? Le dia al Parlamento, riferisca a che punto siamo.
La contrapposizione pace-condizionatore, sarò l’unico, a me non è dispiaciuta. E’ nello stile whatever it takes ma queste chiarezze in Italia le apprezziamo solo quando ci tornano comode. Se posso permettermi, comunque vadano le cose è assai probabile che a un capo dell’oblungo tavolo per trattative ci sarà ancora lui, Vladimir Vladimirovic: sano o malato (cosa che non auguriamo mai a nessuno).
Ho ripetutamente, stucchevolmente detto che alcuni obiettivi espressi un po’ a ruota libera dai ministri erano irrealistici. Ora, purtroppo (avrei preferito essere smentito), un autorevole parere, ben più del mio, conferma e aggrava le perplessità. In Europa, il gas rappresenta circa un quarto del mix energetico. L’UE importa il 90% del gas che consuma, e oltre il 40% del suo consumo totale di gas proviene dalla Russia. Nel breve periodo è irrealistico pensare di accelerare la decarbonizzazione, anzi l’incremento nell’utilizzo di carbone registrato da Febbraio scorso p.es. in Germania ci porta in direzione opposta.
L’Italia, ormai si sa, consuma ogni anno 70-80 miliardi di metri cubi di gas, pari a circa il 42% del mix energetico nazionale. Di questi, il 40% è gas russo. Molti settori industriali HTA (hard to abate) rappresentano ancora uno zoccolo duro fossile.
Sul gas non russo e sul liquefatto da gasiere e rigassificatori si è detto e stradetto. Per raggiungere gli obiettivi di rinnovabile che l’Italia si è posta per il 2030 dovremo installarne 70 GW nei prossimi 10 anni a fronte degli attuali circa 60 GW. Significa installare nei prossimi anni circa 7 GW all’anno, a fronte di circa 0,8 GW nello scorso anno. Accelerare di un fattore nove: stiamo parlando di campi fotovoltaici e pale eoliche, con le burocrazie, le liturgie ambientali e i localismi di chi vuole energia pulita ma prodotta nel cortile altrui.
Se guardo gli altri paesi UE, europeisti una volta al mese e nazionalisti gli altri 353 giorni, dubito che stiano con le mani in mano aspettando il solleone. Mentre ci dibattiamo tra i nodi di una guerra sempre più inestricabile e vicina, la “battaglia energetica” imperterrita vede contrapporsi i paesi UE tra sostenitori e detrattori di nucleare e gas fossile, “candidati” a entrare nella “tassonomia europea”, cioè la classificazione degli investimenti ritenuti ambientalmente sostenibili e in linea con il Green Deal Europeo, la strategia per l’ impatto climatico zero entro il 2050. Per l’Unione Europea questa sfida necessita non solo di fondi pubblici (come quelli del Next Generation EU), ma anche privati. Il regolamento sulla tassonomia è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE nel giugno 2020 ed è entrato in vigore il mese dopo.
Una volta pubblicato, il regolamento avrebbe dovuto essere definito più chiaramente dagli “atti delegati”, secondo una ormai consolidata e diabolica prassi UE dove tutto si incaglia. Secondo una bozza del 31 dicembre 2021, la Commissione europea vorrebbe inserire gas e nucleare come investimenti “sostenibili” nella tassonomia dell’Unione. Avete letto bene, tanti proclami green per poi approdare qui? E’ il tremendo potere dell’inarrestabile buromostruosità UE, che va avanti con il suo ritmo, guerre o non guerre: parliamo di next generation e poi ogni paese difende le scelte che ha fatto nelle past generations.
In base alla suddetta bozza, i progetti nucleari sarebbero idonei ad attrarre investimenti privati, purché provvisti di piani per la gestione delle scorie radioattive e per il decommissioning, bella scoperta. Sarebbero ammissibili anche i progetti sul gas con emissioni inferiori a 270 grammi di CO₂ / kWh. Il braccio di ferro è partito immediatamente, con il no espresso da Germania, Austria e Spagna. Parigi preme per l’ingresso del nucleare nella tassonomia e chissà perché… Può contare su Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Romania. Questo è il pragmatismo UE: o lo vogliamo capire o siamo noi fuori dalle regole. L’Europa non è un comodo giaciglio, è una plaza de toros per esperti di diritto e trattati.
Il ministro Cingolani con dichiarazioni interpretate pro-nucleare (ognuno le valuti) non sembrerebbe tenere conto di due referendum contro l’atomo, ultimo quello del 2011 che bloccò i quattro vecchi reattori francesi che avremmo dovuto importare. Da lì partì l’impennata del gas russo. Nei prossimi mesi, sulla tassonomia dovranno pronunciarsi il Parlamento Europeo e il Consiglio. Quest’ultimo ha il potere di veto laddove si riscontri l’opposizione di almeno 20 paesi per almeno il 65% della popolazione dell’UE.
La posizione del ministro Cingolani, espressa recentissimamente in un’intervista televisiva a “Report” è che il gas rappresenterebbe un “meno peggio” rispetto al carbone. Sotto lo stesso ombrello Next Generation, nella missione rivoluzione verde finirebbero nucleare e/o gas. Dovremmo farci delle autosanzioni, come al militare: lei, si consideri punito! Intanto, la grancassa del mainstream, in perfetto stile pandemia, manda avanti le avvisaglie: alle porte un inverno duro con qualche grado in meno di termosifone (già vedo ordinanze, controlli polizieschi, l’opinione del prof. Galli e le statistiche del GIMBE) e, buttata lì, prima di passare alla prossima notizia (lo scandalo del pata negra al Cibus di Parma!), aziende che fermeranno la produzione. Ma non dovevamo essere a posto entro primavera?
Che caos. Non parliamo al manovratore e il manovratore soprattutto non parla a noi. Il tram sferraglia, vorremmo essere sicuri che non vada al deposito, che non deragli e che i viaggiatori vengano informati sul percorso. Non è un giretto panoramico, è in ballo il futuro.