CITTADINI & UTENTI

Le eccellenze italiane…nonostante la politica

Le eccellenze in Italia non si affermano grazie ad un sistema che le favorisce, ma nonostante un complesso di fattori che tende a soffocarle

Le tanto sbandierate eccellenze italiane sempre più spesso assumono la connotazione di un lenzuolo steso a coprire tutto quello che invece nel nostro Paese non funziona.

Questo singolare costume italico porta regolarmente la nostra classe dirigente ogni volta che si verifica qualche imbarazzante criticità o peggio ancora qualche drammatico disastro, ad appellarsi agli antichi fasti, evocando opere e grandi personalità di un passato ormai lontano.

Il succo in fondo è sempre lo stesso: si, è successa una catastrofe, ma non dobbiamo dimenticare che siamo un popolo di navigatori, santi, eroi, scienzati e molto altro, quindi date fondo alle vostre innate virtù nascoste, rimboccatevi le maniche e sistemate questo disastro certi di poter contare sulla nostra simpatia e benevola consapevolezza del mazzo che vi state facendo: del resto ci avete eletti per questo, no?

Questo richiamo alle glorie di una volta quando non si sa che pesci prendere o non si ha nulla di più intelligente da dire o da fare, spesso diventa un’aggravante invece che un’attenuante o una scusante, perché evidenzia sempre più  che i nostri antenati, con mezzi molto più limitati, spesso facevano le cose meglio di come le facciamo noi.

E declamare oggi che noi (ma noi chi?) duemila anni fa costruivamo ponti e strade che ancora durano, quando invece ora non è così infrequente che si sbriciolino come biscotti dimostrebbe solo che in duemila anni non solo non abbiamo imparato nulla, ma che forse ci siamo anche dimenticati quello che sapevamo.

Questo breve prologo non per negare ingenerosamente l’esistenza di eccellenze italiane, che invece fortunatamente (e fortunosamente) esistono e sono apprezzate ovunque, ma per accendere un rapido faro proprio sull’avverbio “fortunosamente”.

Eh, si….perché le eccellenze italiane non si affermano grazie ad un sistema che le favorisca, bensì nonostante un complesso di fattori che invece sembra studiato ad arte per strozzarle nella culla.

Non a caso uso il termine sistema: in un mondo virtuoso ed ideale l’espressione di una eccellenza dovrebbe proprio scaturire da un sistema integrato che raccordi e focalizzi su di un obiettivo condiviso i più significativi pilastri su cui poggia la società civile.

In primis la scuola, l’università e, latu sensi, la formazione nel suo complesso.

Quindi il mondo del lavoro e le istituzioni ad ogni livello, tramite veri e propri ambiti dedicati che attraverso monitoraggi e scouting individuino, coltivino ed indirizzino su di un binario privilegiato e accelerato tutte quelle che possano connotarsi come eccellenze in atto o in fieri.

È invece di tutta evidenza che le eccellenze italiane spesso sopravanzino quelle di altri paesi proprio per le doti di resilienza che hanno dovuto sviluppare per affermarsi nuotando controcorrente in un contesto che le ha ostacolate su tutti i fronti: della formazione, degli investimenti, fiscale e, forse il più terribile di tutti, quello burocratico-amministrativo.

Vero è che ogni tanto qualche fulgida realtà riesce a districarsi da questo filo spinato letale imponendosi all’ammirazione del mondo intero, sotto lo sguardo compiaciuto e gongolante di una classe politica pronta ad assumersi il merito per chi è riuscito, ma non la colpa per tutti quelli che si sono persi per strada e che forse in un contesto più favorevole sarebbero potuti emergere anch’essi. 

E allora via ad inneggiare (giustamente e mai a sufficienza) alle Frecce Tricolori, alla Ferrari, ai prestigiosi marchi della moda italiana, dell’industria armiera o della cantieristica navale di lusso.

Peccato che chi politicamente rivendica (quasi sempre a sproposito) il merito di questi lusinghieri successi, il più delle volte con l’eccellenza non ha nulla a che vedere sia per quanto riguarda il ruolo agito istituzionalmente sia, soprattutto, per il livello personale.

Credo infatti di non offendere nessuno affermando che i curricula e la preparazione di alcuni esponenti politici di rilievo non consentirebbero non dico di superare un test di ammissione ad una Università a numero chiuso o ad una Accademia Militare (Esercito, Guardia di Finanza, Aereonautica, Marina) ma nemmeno di essere assunti in una banca come cassiere.

Difficile se non impossibile quindi aspettarsi da queste figure, che sicuramente eccellenti non sono, una sensibilità spiccata al tema in argomento.

Ricordo ancora con imbarazzo quando in occasione di un vertice internazionale furono messi malignamente a confronto i curricula del Segretario di Stato americano e di un nostro importante esponente politico: il primo risultava laureato in ingegneria presso l’Accademia Militare di West Point, in Legge ad Harvard, aver diretto la CIA e molto altro ancora,  mentre il secondo….no, in ossequio al principio dell’uno vale uno che ha rischiato di affondare definitivamente il nostro traballante Paese.

Ma questa umiliante condizione non è causa bensì effetto di una precisa scelta politica originatasi nel periodo post ’68 nel presupposto, poi rivelatosi statisticamente infondato come vedremo in chiusura, che coltivare l’eccellenza avrebbe polarizzato le performance, aumentando il distacco tra i primi e gli ultimi, nella scuola come nel mondo del lavoro.

In realtà i decenni successivi dimostrarono che l’unico risultato statisticamente significativo rilevabile in chi aveva perseguito logiche di eccellenza fosse un innalzamento del livello della prestazione media.

Qui siamo finalmente al punto centrale della mia esposizione: l’Italia nel confronto con gli altri paesi non risulta tanto penalizzata sul piano delle eccellenze, dove tutt’ora sostiene il confronto con quelle straniere spesso superandole, ma è drasticamente indietro proprio sulla prestazione media.

Per banalizzare con un esempio, Ferrari e Maserati reggono tranquillamente ed anzi possono vincere il confronto con la Porsche, ma la media delle vetture italiane è (o è percepita) di qualità inferiore alla media delle vetture tedesche.

E siccome i grandi numeri girano sulle medie e non sui picchi, ecco spiegato perché il nostro Sistema Paese, che tutto è tranne che sistema, arranchi così affannosamente nella competizione con gli antagonisti stranieri.

Quello delle automobili è solo un esempio naturalmente, del quale però è piuttosto agevole avere riscontri pressoché quotidiani.

Quante volte vediamo inneggiare sulla stampa ed in TV allo studente brillante, plurilaureato a 22 anni con il massimo dei voti senza ricondurre questa celebrazione mediatica proprio all’eccezionalita’ dell’evento e senza chiederci quale sia stata la media del voto di maturità della sua classe, quanti della sua classe abbiano proseguito gli studi universitari laureandosi e con quale media e quanti invece si siano smarriti lungo la strada dando luogo a quel fenomeno burocraticamente e sbrigativamente definito “della dispersione”?

Certamente i nostri cervelli migliori competono alla pari con i migliori stranieri, tant’è che il più delle volte se ne vanno all’estero per coronare le proprie aspirazioni.

Ma la preparazione media di tutti gli altri spesso ci vede perdenti ed è su questo campo che, per i numeri in gioco, si disputa la partita più importante. 

L’assunto sessantottino (poi rivelatosi infondato) che perseguire l’eccellenza avrebbe polarizzato la prestazione a danno delle classi svantaggiate purtroppo non rimase tale, ma si concretizzò in iniziativa politica con la disastrosa riforma Berlinguer il cui cardine ideologico era rappresentato dal diritto al successo formativo.

Qui abbiamo drasticamente abbandonato i sentieri dell’eccellenza (ammesso che li avessimo mai imboccati) per avviarci sulla china  del 6 politico, delle interrogazioni di gruppo/programmate e degli esami a test con risposte multiple. 

Possibile che la semplice proposizione (diritto al successo formativo) possa aver causato un tale disastro?

Si, è possibile tant’è che è accaduto ed in modo tutt’altro che banale.

Queste tre parole rappresentano infatti lo scambio che ha traslato l’asse portante del nostro sistema scolastico dal sacrosanto diritto universale ad accedere alla formazione al “diritto ad avere successo” nell’iter formativo.

Quindi non viene riconosciuto semplicemente il diritto di accedere ad un percorso scolastico nel quale impegnandosi a fondo si potrà avere successo, ma si garantisce già in partenza il diritto ad ottenerlo questo successo.

E se tale obiettivo non verrà raggiunto non dipenderà dall’impegno dello studente, ma sarà una responsabilità della scuola.

È di tutta evidenza che per poter offrire una tale garanzia l’asticella debba essere abbassata, soprattutto nella scuola dell’obbligo che è quella che dovrebbe fornire le basi sulle quali proseguire negli studi superiori.

Ma non è certo andata meglio negli studi accademici. 

Ad esempio, pur risalendo la mia esperienza di studente universitario alla notte dei tempi, non posso non sorprendermi per il singolare meccanismo degli esoneri grazie ai quali oggi gli esami più corposi vengono spacchettati in più sessioni in ciascuna delle quali non viene chiesto nulla di quanto sia stato oggetto dei precedenti accertamenti.

Ma come osserva sagacemente Carlo Augusto Viano (Ricolfi, Il Danno Scolastico)  saltare due asticelle ad un metro d’altezza non è la stessa cosa che saltarne una da due metri.

Il numero di docenti rimasto pressoché invariato a fronte di una popolazione studentesca cresciuta a dismisura, ma con un tasso di dispersione altissimo, completa il quadro.

Il mondo del lavoro è andato di pari passo soprattutto negli incarichi pubblici dove l’assegnazione di ruoli di responsabilità ha spesso seguito logiche di partito e, più in basso, automatismi e annacquamento dei requisiti hanno fatto il resto.

Del resto nella perversa logica dell’uno vale uno, abbiamo visto in questa bislacca legislatura chi con un’esperienza lavorativa di commesso in un negozio di animali e  vantando come formazione scolastica la terza media sia  approdato al ruolo di Presidente della Commissione  Affari Europei alla Camera dei Deputati.

Dunque perché scandalizzarsi se un onesto travet, munito di diploma analogo o di poco superiore, aspiri a diventare Dirigente sfruttando tortuosi sentieri in cui valgono anzianità o crediti professionali maturati negli ambiti più disparati?

Chiudo questo necessariamente breve excursus per provare a verificare in che misura un tale disastro abbia raggiunto gli obiettivi politici di fondo citati in premessa, cioè di rendere più egualitaria la scuola e conseguentemente la società nel suo complesso.

Partiamo quindi dal cosiddetto ascensore sociale, termine più giornalistico che scientifico, che esprime appunto il grado di ascesa sociale, cioè quanto significativo sia il numero di coloro che hanno migliorato la propria condizione rispetto a quella dei loro padri.

Questo dato però da solo non dice se il fenomeno sia avvenuto in modo equo o iniquo: per arrivare a questa indicazione occorre confrontarlo con la condizione di partenza.

In una società idealmente aperta questo rapporto sarebbe uguale a 1, a significare l’assoluta parità delle possibilità di successo a prescindere dalla condizione sociale di partenza.

Spulciando le rilevazioni della Fondazione Hume elaborate su dati ISTAT, per l’Italia questo rapporto si attesta  intorno  4 classificandoci tra le società inique in buona compagnia di USA e GB, ben lontani dagli indicatori virtuosi delle nazioni scandinave.

Ovviamente il valore 4 è una media che varia da provincia a provincia, salendo a 4,9 in quelle ad alta intensità mafiosa.

Incrociando questo valore con la qualità della scuola, vedremo che sale a 4,8 dove la scuola è modesta e addirittura a 5,8 dove la scuola è pessima, per scendere a 3,3 in presenza di scuole buone e addirittura a 2,8 ove queste siano eccellenti.

Ho provato a sintetizzare matrici piuttosto complesse tralasciando altri indicatori significativi quali ad esempio il tasso di successo in relazione alla classe di provenienza, ma il succo è sempre quello: abbassare l’asticella non ha ridotto le ineguaglianze, ma anzi le ha accentuate.

Semplificando al massimo le molteplici motivazioni di questo risultato, possiamo affermare che la debacle della scuola media ha generato una condizione di inadeguatezza della preparazione rispetto agli studi superiori con conseguente difficoltà da parte degli studenti nell’affrontarli.

A ciò le famiglie più abbienti, diversamente dalle svantaggiate, hanno potuto porre parzialmente rimedio ricorrendo a lezioni private o a scuole a pagamento.

Chapeau quindi alle eccellenze che nonostante questo sistema riescono ad affermarsi….ed anche a chi invece, grazie anche a questo sistema, passa in scioltezza da un negozio di animali alla presidenza di una commissione parlamentare.

Fonte: Il danno scolastico – Luca Ricolfi –  edizioni La nave di Teseo. Dati elaborati dalla Fondazione Hume.

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