
Per un solo momento dimentichiamoci della nostra posizione personale a riguardo della guerra in corso tra Russia e Ukraina e concentriamoci sulla dichiarazione in cui ieri Putin ha annunciato la vittoria a Mariupol, anche se in realtà parte della città è ancora in mano al battaglione Azov a seguito del rifiuto dell’ultimatum ad arrendersi che Putin gli aveva intimato due giorni fa.
La situazione aggiornata sulla mappa del conflitto è quella che segue:

Analizziamo ora le dichiarazioni di intenti di Putin alla vigilia dell’attacco al fine di comprendere se gli sia possibile vendere/rappresentare una vittoria all’opinione pubblica russa in attesa del 9 Maggio, l’anniversario della vittoria sovietica nella seconda guerra mondiale :
1) liberare il Donbass dalle milizie ucraine per garantirne l’autodeterminazione e la salvaguardia della popolazione russofona
2) fermare l’avanzamento della NATO a est
3) demilitarizzare l’Ucraina e sconfiggere i nazisti che si erano opposti all’annessione della Crimea e Sebastopol e che attualmente combattevano nel Donbass
Il testo integrale del discorso di Putin è visibile qui .
Dimentichiamoci anche della propaganda, sia quella occidentale che quella russa, che ci ha proposto diverse interpretazioni dei fatti sul campo e proviamo ad immaginarci uno scenario in cui sin dall’inizio l’obiettivo minimo di Putin fosse quello di prendersi i territori del Donbass e consolidare il corridoio terrestre sino alla Crimea.
In questo piano c’era anche il tentativo di far capitolare la capitale Kiev, costringendo il governo alla resa o all’esilio, ma solo come obiettivo secondario, a tutti gli effetti mai dichiarato esplicitamente. Per realizzare ciò Putin ha deciso di impiegare una parte della sua armata arrivando a circondare la città impegnandola in una campagna di bombardamenti.
Con questa mossa Putin cerca quindi di realizzare il jackpot: cacciare Zelensky e prendersi tutta l’Ucraina. Mantenendo impegnato l’esercito ucraino anche sul fronte di Kiev, Putin di fatto obbliga Zelensky a sottrarre truppe che avrebbe potuto impiegare sul fronte del Donbass, facilitandone la presa.
Quando Putin invece realizza che il governo Zelensky rifiuti sia l’esilio che la resa, decide di spostare le truppe da Kiev e riportarle nel Donbass, per accelerare la manovra di consolidamento delle posizioni conquistate.
A dimostrazione che uno dei suoi intenti con la manovra di Kiev fosse quello di impegnare l’esercito ucraino su due fronti distinti per annacquarne le forze, Putin mentre ritira le sue truppe da Kiev ne schiera altre a nord a pochi kilometri dalla città, immediatamente a ridosso della frontiera Bielorussa costringendo Zelensky a mantenere parte del suo contingente a costante difesa di Kiev.
Kiev a tutti gli effetti non è caduta ma Putin non avendo mai dichiarato che il suo scopo fosse farla capitolare, anche se l’occidente spinge la narrativa che Putin abbia perso la battaglia di Kiev egli agli occhi dell’opinione pubblica russa può tranquillamente continuare a sostenere che il suo scopo fosse solo quello di spaccare l’esercito ucraino, obiettivo quindi conseguito.
In merito alla denazificazione dell’Ucraina Putin può tranquillamente sostenere agli occhi dei russi di aver sconfitto il battaglione Azov nel Donbass e di averlo inchiodato a Mariupol. Poco importa che in realtà esso sia ancora attivo e nascosto nei meandri dell’acciaieria, di fatto è completamente circondato ed è impossibile rifornirlo di armi e di cibo.
Annunciando la fine delle ostilità a Mariupol, Putin può nel peggiore dei casi trovarsi con parte del battaglione Azov senza armi e senza cibo e quindi reso innocuo, oppure ottenere finalmente la resa dei combattenti rimanenti, da far prigionieri certamente non per ucciderli ma anzi, da mostrare come trofeo in occasione del 9 Maggio, dimostrando nel contempo la sua magnanimità nell’aver rinunciato ad una battaglia che per essere vinta militarmente avrebbe visto il versamento di ancora più sangue russo, risparmiando anche quello ucraino.

In merito all’allargamento della NATO a Est, anche se Putin ora si trova la rogna della richiesta di annessione da parte della Finlandia, egli negli eventuali futuri colloqui di pacificazione riuscirà certamente ad imporre alla NATO e all’Ucraina uno status di neutralità, obiettivo quindi raggiunto.
A questo punto, per tutti e tre gli obiettivi inizialmente dichiarati Putin potrà sostenere di fronte all’opinione pubblica di averli raggiunti, dichiarando legittimamente vittoria in occasione del 9 maggio, facendo leva sui sentimenti di grandeur storicamente codificati nel DNA dei russi.
Certo, tutto ciò è avvenuto a spese della vita di tanti poveri coscritti russi e degli ucraini, la perdita dell’incrociatore Moskva e di tante infrastrutture e mezzi militari.
Ma laddove l’occidente dia un certo peso alla vita dei propri militari, la Russia ha storicamente dimostrato di trattarli come pedine sacrificabili sul campo, senza mai pensare troppo alle reazioni interne, che si possono placare con denaro (i rimborsi alle famiglie), con la propaganda e in estrema ratio con l’imprigionamento, come è sempre avvenuto nella storia russa.
Poco importa che Putin abbia anche ottenuto il risultato di consolidare anziché spaccare l’alleanza NATO e il rafforzamento degli eserciti dei suoi componenti, finché egli avrà a disposizione lo spauracchio atomico, la NATO verrà certamente tenuta a bada. Non è un caso infatti che Putin abbia recentemente organizzato il lancio inaugurale di test del nuovo missile balistico intercontinentale RS-28 Sarmat o Satan 2 secondo la codifica NATO.

Dal conflitto Putin ha imparato che lo status del suo esercito non è quello che si immaginava, certamente prenderà spunto per eliminare nel futuro prossimo tutti i militari responsabili, lanciando (finanze permettendo) un secondo piano di ammodernamento dell’esercito russo, più nei suoi quadri e nelle sue funzioni che dal punto di vista tecnologico.
Questo conflitto inoltre è servito a Putin a rafforzarsi eliminando fisicamente, licenziando o imprigionando centinaia membri del KGB di cui non si fidava così come si è liberato di alcuni oligarchi, suicidandoli.
L’eventuale, anzi quasi certa, guerriglia civile che l’Ucraina cercherà di portare avanti nei prossimi anni è per Putin una questione secondaria, da gestire in una partita futura e diversa da quella attuale, che può continuare a dichiarare chiusa.
Per concludere, è presto per poter dire quante e quali sanzioni internazionali continueranno a permanere in futuro, in ogni caso il popolo russo è abituato a stringere la cinghia (fatto che gli analisti occidentali si ostinano a non voler capire), anche questa volta, così come accadde nel 1999 in occasione del default russo, i russi faranno un buco in più sulla cintura e cercheranno di tirare avanti come se nulla fosse.
Alcuni illustri analisti predicono giustamente un crollo totale della Russia nel medio-lungo periodo alla luce dell’implosione demografica, della concomitanza delle sanzioni e della fuga dei cervelli verso l’ovest di quei pochi giovani preparati che sarebbero stati necessari all’autoctonia tecnologica russa.
Putin agli occhi dell’opinione pubblica in futuro potrà sempre additare l’odio della NATO nei confronti della Russia come principale elemento di responsabilità e potrà continuare a capitalizzare politicamente sull’inevitabile consolidamento del sentimento anti-occidentale.
Quindi, alla luce di tutto ciò chi potrà dire di aver vinto?