CITTADINI & UTENTI

Il delitto di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione

Dalla Legge Scelba alla Legge Mancino fino al reato di cui all’art. 604 bis c.p. alla luce della recente pronuncia della Cassazione.

La Costituzione, nella XII disposizione transitoria, vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In attuazione di questa previsione è stata dapprima emanata la Legge Scelba nel 1952 – poi modificata nel 1975 – e, successivamente, la Legge Mancino del 1993.

La legge Scelba ha per la prima volta introdotto nell’ordinamento penale italiano il reato di apologia di fascismo. La disposizione dell’articolo 1 sanzionava chiunque «promuova od organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista»; nell’articolo 3 chiunque facesse «propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell’articolo 1 oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche» e infine all’articolo 5 chiunque, con parole gesti o in qualunque altro modo, compisse pubblicamente manifestazioni usuali del disciolto partito fascista.

L’impianto antidiscriminatorio italiano di carattere penale oggigiorno ruota attorno alla c.d. Legge Reale-Mancino. Nel 1975 è stata introdotta nel nostro ordinamento, con la Legge n. 654, un’autonoma fattispecie volta a reprimere le condotte di matrice razzista. Con essa vengono vietati la propaganda razzista, l’incitamento alla discriminazione razziale e gli atti di violenza che traggono origine da motivazioni razziali o etniche. 

Nel 1993, con il decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122 di iniziativa dell’allora Ministro dell’Interno, venne introdotto un sistema più dettagliato, allo scopo di adottare strumenti più efficaci di prevenzione contro la xenofobia ed il razzismo, caratterizzato da una differenziazione, e contestuale attenuazione, del regime sanzionatorio, per l’introduzione della circostanza aggravante comune nonché per la previsione di pene accessorie aventi finalità rieducativa. L’approccio scelto, sebbene a prima vista appaia fortemente repressivo, introducendo una tutela preventiva volta a limitare la libertà di espressione, si caratterizza per una spiccata valorizzazione della persona umana, posta al centro della tutela penale. Un sistema ispirato tanto alle esperienze di civil law continentali quanto alla common law americana che ha subito alcuni tentativi di riforma, tra i quali si ricorda quello del 2006 sui reati di opinione, fino alla trasposizione, per via della “riserva di codice”, avvenuta con il decreto legislativo 1 marzo 2018 n. 21, all’interno del codice penale con due articoli, il 604-bis e 604-ter, nella nuova sezione I-bis, creata all’uopo, intitolata Delitti contro l’uguaglianza, nel Capo III, dei Delitti contro la libertà individuale, del titolo XII, Dei delitti contro la persona.

Attualmente la previsione codicistica è volta a condannare gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e non solo, che hanno lo scopo di incitare alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Le disposizioni, come riconosciuto dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza, ben prima della “riserva di codice”, vanno a tutelare la pari dignità e l’eguale rispetto tra gli esseri umani.

In merito alla continuità tra le condotte punite dalle fattispecie è però di recente intervenuta la Suprema Corte di Cassazione affrontando la vicenda di una manifestazione pubblica, commemorativa dei caduti della Repubblica Sociale Italiana, in cui gli imputati compivano manifestazioni usuali del disciolto partito fascista. Secondo il Tribunale di Milano i fatti rientravano nella previsione incriminatrice della legge Scelba, ma non erano punibili per mancanza del pericolo concreto, diversamente argomentando la Corte d’Appello aveva ritenuto la responsabilità dei 4 imputati sulla base dell’applicazione della Legge Mancino ritenendola di carattere più ampio e necessitante del solo pericolo presunto, anticipando così la soglia di punibilità.

Secondo la Cassazione non ricorrono dubbi sul fatto che le disposizioni incriminatrici in questione possono avere aspetti di “affinità”, tali da poterle ritenere elementi di un più ampio sistema di tutela dei valori della convivenza civile e della democrazia costituzionale; tuttavia ciò non consente di evocare, ed applicare, la nozione di “specialità”.

Più in dettaglio, si legge nelle motivazioni, “secondo il radicato orientamento di questa Corte di legittimità, il confronto tra le fattispecie in apparente convergenza va realizzato con riferimento alla struttura delle medesime tramite la comparazione dei rispettivi elementi costitutivi e non riguarda il modus interpretativo di ciascuna di esse o elementi esterni alla dimensione della tipicità…deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle”.

E aggiunge che “in realtà le due disposizioni incriminatrici hanno possibili aspetti di convergenza fattuale ma non possono essere ritenute collocabili nella dimensione della specialità: se da un lato vi è un aspetto di possibile interferenza (il fascismo ha promosso storicamente discriminazione e violenza anche per ‘motivi razziali, fermi restando altri concorrenti disvalori), dall’altro nel confronto tra le fattispecie astratte non vi è continenza, sia in ragione della maggiore ampiezza delle connotazioni ideologiche negative del fascismo, sia per l’essenziale diversità di ambito applicativo rappresentata dalla correlazione tra l’uso dei simboli e la identificazione di un gruppo/movimento /associazione oggi esistente (secondo la legge del 1975) che persegua il particolare finalismo discriminatorio”.


Sulla base di ciò gli ermellini hanno statuito che la Legge Scelba inquadra una condotta di rievocazione storica del “disciolto” partito fascista attraverso un determinato comportamento gestuale o simbolico. La Legge Mancino invece incrimina l’utilizzo di emblemi o simboli propri o usuali di organizzazioni o gruppi che, “all’attualità”, incitino alla discriminazione o alla violenza.

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