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Hunter Biden, il ritorno del suo elusivo portatile e la farsa della guerra alla “disinformazione”

Cosa succede quando il libero flusso dell’informazione in una società democratica viene soffocato dalla corruzione istituzionale che sopprime e manipola la notizia, tentando di plasmare l’opinione pubblica per soddisfare esigenze di partito

Per chi mantiene una buona memoria e la mente aperta, lo scandalo del computer portatile di Hunter Biden, secondogenito del presidente degli Stati Uniti Joe Biden e della sua prima moglie Neilia, riserva poche sorprese.

Photo credits: DailyMail.com

A tutti gli altri non resta che aggiornarsi, cosa in questo momento non troppo difficile se si attinge al paradiso informativo monocolore con una vivace spruzzatina qua e là, che è la stampa statunitense.

Ma andiamo per ordine. Nell’ottobre 2020, durante un periodo pericolosamente vicino alle elezioni presidenziali che officiarono Joe Biden come il nuovo presidente degli Stati Uniti D’America, il New York Post pubblicò un articolo contenente testi, e-mail e altri documenti compromettenti, attribuiti a Hunter Biden. Le informazioni furono ottenute dal proprietario di un negozio di riparazione computer del Delaware, John Paul Mac Isaac.

Nell’aprile 2019, un individuo non identificato a causa della semi cecità di Mr. Isaac, affidò tre computer portatili danneggiati dall’acqua al titolare affinché li riparasse. La persona si identificò come Hunter Biden e firmò una ricevuta, col nome di Hunter.

Nessuno tornò mai a recuperare i portatili, così Mac Isaac, che nel frattempo era riuscito a recuperare gli hard drive, ne visionò il contenuto. Ritenendo che il materiale fosse scandaloso, decise quindi di consegnarlo alle autorità, conservandone una copia che deciderà più tardi di donare a Rudy Giuliani, legale di Donald Trump che lo girerà a sua volta al New York Post, outlet conservativo, che finirà per pubblicarne un articolo, appunto nell’ottobre 2020.

Joe e Hunter Biden. Photo credits: AP

L’articolo del Post sui file rinvenuti nell’hard drive del giovane Biden includeva in parte informazioni poco lusinghiere sulla sua vita personale. I file contenevano dettagli imbarazzanti, così come materiale esplicitamente sessuale e documenti relativi a lucrative “collaborazioni” di Hunter, in particolare con una società di gas ucraina ed interessi commerciali in Cina. Gli alleati di Trump hanno a lungo sostenuto che i documenti provassero non solo la corruzione di Hunter ma anche di Joe Biden, alla luce della dichiarazione di ignoranza di quest’ultimo,  in quanto appare poco credibile che un padre sia totalmente all’oscuro delle attività professionali del figlio. Ma quanto sopra, ad onor del vero, non è mai stato provato. 

Inoltre si riteneva quantomeno sospetto che sin dal 2014 Hunter Biden facesse parte del Consiglio di Amministrazione di Burisma, una società ucraina che si occupa di gas naturale, afflitta da numerosi scandali, pagato 50.000 dollari al mese e senza alcuna qualificazione specifica nel suo curriculum (beh tranne quella di essere il figlio di Joe Biden, al tempo vice presidente e responsabile dei rapporti con l’Ucraina sotto l’amministrazione Obama) che lo rendesse una scelta appropriata per una posizione di elevata responsabilità nel campo del gas.

L’insabbiamento ed il “debunking” della notizia -che aveva il potenziale di influenzare i risultati delle vicinissime elezioni presidenziali- da parte delle istituzioni d’élite più potenti d’America allo scopo di disinformare il pubblico e sopprimere il dissenso è ben documentato. 

Jarret Stepman su un suo articolo del 25 marzo sul DailySignal offre la catena di eventi che letta attentamente non manca di sollevare seri dubbi sulla attendibilità dell’informazione all’interno del sistema di divulgazione della notizia americano.

Quando venne fuori, la storia fu immediatamente “disinnescata”  dal Times e gran parte dei media americani, i quali la definirono una “non notizia”, dichiarando che si trattava con ogni probabilità di una ben architettata operazione di dezinformatsiya russa.

National Public Radio (NPR) scrisse che non poteva pubblicare la storia in quanto le sue “affermazioni non ammontano a molto”. Ma tanto per mettere le cose nella giusta prospettiva, stiamo parlando di un outlet che afferma, guardandoti dritto negli occhi e senza scoppiare a ridere, che dieta sana ed esercizio fisico costituiscono il “marchio distintivo” della supremazia bianca, radicata nel razzismo e nella misoginia.

Il tentativo d’insabbiamento non si limitò esclusivamente a mainstream media. Anche big tech giocò una parte essenziale nell’orchestrato tentativo di manovrare l’opinione pubblica. Twitter impedì agli utenti di postare la storia su Hunter Biden bloccando il New York Post per più di due settimane. Facebook utilizzò un algoritmo per impedire ai suoi utenti di visualizzare informazioni relative allo scandalo.

Jack Dorsey, CEO di Twitter nel periodo in questione, dichiarò in seguito che bloccare la storia fu un grosso errore senza però dilungarsi troppo sulle modalità dell’iniziativa, salvo essere di li a poco sostituito da un nuovo CEO ancora meno incline al rispetto della libertà di parola .

“Faccio un appello speciale alle società che controllano i social media e ai media: Per favore, occupatevi della disinformazione e della disinformazione che c’è nei vostri programmi”, ha dichiarato il presidente Joe Biden a gennaio, parlando della pandemia. “Deve finire”.

Eppure quando la “disinformazione” va a beneficio dei suoi interessi, il discorso cambia radicalmente.

Quando il Post pubblicò la storia del portatile di Hunter Biden, un folto gruppo di “esperti di intelligence”, ex alti funzionari, rilasciò una dichiarazione in cui si assicurava che la storia di Hunter Biden possedesse tutte le “classiche caratteristiche di un’operazione di disinformazione russa”. 

Non esisteva alcuna prova in merito. Soltanto “l’opinione degli esperti” diventata oramai una tappa così importante del giornalismo contemporaneo.

“Se abbiamo ragione, questo è un tentativo dell’intelligence russo d’influenzare il voto degli americani in queste elezioni, e crediamo fortemente che gli americani debbano essere consapevoli di quello che sta succedendo”, dichiaravano i cosiddetti esperti.

Ma la messinscena della sinistra americana non finisce certo qui. 

Anche  Biden ha utilizzato questa (chiaramente falsa e fuorviante) lettera durante un dibattito con l’ex presidente Donald Trump per la campagna presidenziale del 2020, allo scopo di dimostrare come lo scandalo del figlio fosse frutto di una campagna di disinformazione messa in piedi non più da madre Russia, ma questa volta dai repubblicani.

 Lo stesso Biden che lanciava un appello “speciale” ai media americani affinché’ dichiarassero guerra alla disinformazione. Beh alla luce di quello che sappiamo oggi, la verità svela invece che furono i fortemente “politicizzati” esperti di spionaggio, con la loro lettera a cercare di influenzare le elezioni.  

Dei 51 ex alti funzionari, finora nessuno si è scusato o si è assunto alcun tipo di responsabilità per ciò che ha dichiarato.

James Clapper, ex direttore di National Intelligence ha solo ammesso che si attiene alla dichiarazione che ha fatto a suo tempo. Nessuna spiegazione del perché fosse falsa o pentimento per aver ingannato il pubblico americano. 

Gli ex funzionari non hanno solo presentato i fatti in maniera poco accurata, come ha sottolineato il New York Post. Hanno cercato di trasformare una storia circa la potenziale corruzione della famiglia Biden in una storia su come l’interferenza russa nelle elezioni la stesse vittimizzando. 

E lo hanno fatto per fini politici.

Quando si mette tutto insieme, la storia del portatile di Hunter Biden riguarda molto più che la negligenza dei media e la pirateria politica nei servizi segreti. Riguarda anche più della censura di Big Tech.

La possibilità che il figlio del presidente abbia usato la posizione ufficiale del padre per arricchirsi non è un’ipotesi da prendere alla leggera ed il sistema giudiziario americano non mancherà di verificare ed attribuire le responsabilità del caso, ammesso che ce ne siano.

Ma tra tutte le verità che potrebbero essere svelate, nessuna potrà mai essere così terrificante per la nostra libera società, come la corruzione istituzionale che ha soppresso e manipolato la notizia sin dall’inizio, per soddisfare mere esigenze di partito. 

E la giuria, quella della coscienza, su questo ha già deliberato.

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