CITTADINI & UTENTI

Perché Putin ha scelto una guerra vecchia?

L'esercito russo, poco sensibile alla perdita di vite umane, riduce la fanteria nei gruppi tattici vediamo le implicazioni di questa strategia

Nel mio precedente messaggio in bottiglia ponevo un interrogativo pleonastico sul perché Putin avesse lanciato un’offensiva secondo modalità a dir poco datate. Un recente articolo del Generale Carlo Jean non risponde a questo interrogativo, ma con ben altra profondità di analisi rispetto alla mia, ripropone le linee portanti di un ragionamento che avevo dilettantisticamente provato a rappresentare.

Premetto che il pieno titolo ad attribuirmi l’etichetta di dilettante mi deriva dall’inconfutabile dato oggettivo che i miei trascorsi militari si limitano al servizio come Ufficiale di Complemento espletato più di quarant’anni fa, tra Garand M1 del 1941 ed obici 155/23 del 1943….ancora un piccolo passo indietro ed oggi scriverei dottamente di balestre e catapulte. Ma come tutti i dilettanti, animato da passioni convulse e da vaste e superficiali letture, ogni tanto provo a coordinare tutto il caos mentale che ne consegue con il fine ambizioso di esprimere un ragionamento di senso compiuto, obiettivo che conseguo con risultati ahime’ altalenanti.

Torniamo a bomba, per restare in tema. Il pensiero del Generale Jean, in estrema sintesi, è che l’esercito russo, in piena riorganizzazione neĺla prospettiva di dover un giorno confrontarsi con le forze corazzate e meccanizzate Nato, abbia sensibilmente contratto le aliquote di fanteria nei gruppi tattici, riducendole ad 1/5 di quelle previste a livello di battaglione (quindi poco più di una compagnia). Qui irrompe il dilettante (io) che finalmente trova un filo conduttore nei suoi confusi ragionamenti ed entusiasticamente osserva: i carri senza fanteria sono vulnerabilissimi e questo era ben noto sin dalla seconda guerra mondiale. I tedeschi, infatti, che avevano inventato quel micidiale dispositivo denominato panzerdivision con il quale nel 1940 avevano allegramente girato intorno alla linea Maginot ad onta dell’ottimistico motto “on ne passe pas”, dietro i carri mettevano sempre la fanteria, a volte con unità meccanizzate dedicate come I Panzergrenadier che operavano appunto in stretta aderenza con la componente corazzata.

I russi, un po’ meno sensibili alle perdite umane (tant’e che ne hanno avute più di tutti) avendo evidentemente più a cuore i T 34 che i poveri fantaccini, la fanteria la mettevano sovente davanti ai carri proprio per bonificare il terreno limitando il rischio che qualche testa calda con un’arma anticarro da spalla tipo il panzerfaust, sbucasse da un anfratto per attaccare e distruggere o quanto meno immobilizzare (per un mezzo corazzato è pressoché la stessa cosa) il prezioso prodotto dell’industria bellica sovietica.

Se questo aspetto è gia’ rilevante in un terreno aperto (i nostri paracadutisti in pieno deserto, qualche carro inglese a El Alamein sono riusciti a eliminarlo con un pizzico di inventiva) è facile immaginare a che livello di importanza possa assurgere in un contesto ambientale più frastagliato o, peggio mi sento, in un centro abitato magari semidiroccato, dove in ogni vicolo, dietro ogni angolo o brandello di muro si può celare un buontempone che con un tutto sommato economico tubo usa e getta ti spedisce una carica cava nelle viscere di un ben più costoso carro armato, squagliandolo con tutto l’equipaggio.

E qui veniamo al concetto “boots on the ground”. Un conto è fare una “strafexpedition” , una puntata punitiva per distruggere o disarticolare un dispositivo difensivo. Vai, colpisci e torni indietro….un po’ quello che gli israeliani chiamavano “esplorazioni a fuoco”. Altra cosa è mettere la bandierina sulla mappa, perché la bandierina significa capisaldi, depositi, rifornimenti, turni di servizio, pattugliamenti, rastrellamenti ecc ecc ecc…..tutte cose che non puoi fare con i carri armati o con gli aerei, perché ti servono gli omini che trasportano, scaricano, custodiscono, sorvegliano, cucinano, medicano, puliscono, portano via morti e feriti e all’occorrenza combattono…il che può appunto pragmaticamente riassumersi con l’espressione “boots on the ground”. Il problema è che i boots da soli tutto questo non sono in grado di farlo e quindi dentro bisogna infilarci dei piedi che generalmente sono attaccati a degli omini che spesso si fanno male e muoiono se qualcuno gli spara addosso. E quando gli omini cominciano a morire, nel mondo occidentale c’è una cosa che si chiama opinione pubblica che inizia ad agitarsi fino al punto di farti perdere in casa una guerra che magari stai vincendo fuori.

La forza di questa dinamica è direttamente proporzionale alla distanza geografica che intercorre tra il luogo in cui gli omini sono nati ed hanno vissuto e quello in cui stanno morendo. Questo perché i complessi meccanismi che muovono l’opinione pubblica portano la stessa ad inquadrare con relativa facilità le motivazioni che fanno morire gli omini per difendere la propria famiglia, la propria casa, il proprio quartiere…ma già da città/regione in su queste ragioni vanno via via sfumandosi e l’opinione pubblica diventa particolarmente aggressiva se non riesce a trovare agevolmente sull’ atlante De Agostini dov’è che stanno morendo figli/fratelli/amici e parenti. C’è chi si è mosso con logiche diverse da quella “boots on the ground”?

Certo….i Vietcong ad esempio. A loro non importava mettere le bandierine sulla mappa o attestarsi a caposaldo. Il loro obiettivo strategico non era la conquista del terreno, visto che stavano a casa propria, ma distruggere il nemico colpendolo sempre in condizioni di superiorità numerica.  E in ogni caso morivano anche loro. Ma questo è un altro capitolo e mi sono gia’ dilungato abbastanza. Vorrà dire che me lo terrò  da parte qualora il mio editore lo trovasse di un qualche interesse. 

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