
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con le sue tragiche immagini trasmesse nei nostri vari talk show in diretta h24, ha sollecitato – come prima il Covid – un vorticoso fiume di analisi tra “conduttori” e “ospiti”, altri giornalisti sia in studio o collegati che inviati al fronte, professori, analisti, generali, politici, sindacalisti, intellettuali e liberi pensatori à la carte, tutti costretti a guadagnarsi uno spazio di visibilità specialistica anche ricorrendo a sofismi e bizzarrie di nicchia. Un vortice che sfocia, e di ritorno si alimenta, nell’oceano social dove i contributi on-line e i commenti in chat si moltiplicano alla caccia della evangelica “pagliuzza” negli occhi, o sfuggita ad essi, dei rivali. In questo vortice tutti i giornalisti hanno scoperto e lo dichiarano fieri che oggi “La guerra si fa anche con le informazioni” e che quindi occorre sempre fare un sano “fact-checking” cantando in coro il nuovo meme: “Come diceva Eschilo, in guerra la verità è la prima vittima”.
Tra i flutti limacciosi dei commenti e delle analisi ci hanno colpito quelle che cercavano di capire la mentalità di Putin attraverso la sua passione, il Judo. Abbiamo così deciso di fare anche noi debunking, dividendo l’analisi in due parti: la prima sulla “realtà” del Putin judoka e l’altra sulla possibilità che, attraverso la “Via della cedevolezza”, si potesse comprendere la mens di Putin. Le sorprese non sono mancate.
Aranzulla delle arti marziali?
“Mister Harai-goschi”, così è conosciuto Vladimir Vladimirovič Putin nel Dojio Yawara di Leningrado, ora di San Pietroburgo, in cui pratica il Judo dalla sua adolescenza e di cui ad oggi è il presidente. Nel 2000 editata, proprio in occasione del suo 56° compleanno, un libro con due amici anch’essi maestri di Judo e di Sambo, Vasilij Sestakov e Aleksei Levickij, “Il Judo di Putin”. Pubblicato per la prima volta da un altro amico e cultore delle due arti marziali, Arkady Rothenberg, oligarca ed editore, oltreché storico sparring partner di Putin.

Tradotto dal 2001 in molte lingue, tra cui l’italiano per un’edizione di lusso dalla Mondadori proprio all’inizio del primo governo Berlusconi, si fregia della prefazione di Franco Cappelletti, dal 1960 judoka d.o.c.e stimato storico maestro, primo italiano ad avere ottenuto l’ottavo dan dalla Federazione internazionale e poi nel 2017 “cintura rossa” di decimo dan (massimo grado nel Judo). Ventitré righe di riconoscimenti e complimenti a Putin considerato “personalità a cui il judo internazionale e quello italiano sono grati per quanto ha dato e per quanto sta facendo per tenere sempre viva l’attenzione su questa disciplina sportiva”.
In verità il volume, ormai introvabile nella sua versione italiana, è un manuale, che seppur attento alla storia, ai regolamenti e alle norme di comportamento sul tatami, mostra assai poco delle caratteristiche del Judo russo o del Putin judoka come ci si aspetterebbe dal titolo. Si potrebbe dire un’opera che, almeno per l’Italia, ricorda i vecchi divulgativi e promozionali manualetti pocket degli anni 60/70, alcuni disegnati come questo e altri con foto, tipo “l’ABC del Judo” o “Il Judo in 12 lezioni”. Anche lo stile di scrittura, dato che si tratterebbe di un’opera a tre mani, lascia perplessi perché appare redatto da un sola mano, forse quella di uno dei tre autori oppure, come più probabile, da quella di un ghostwriter dell’“Editore Rotenberg” che ha raccolto le idee dei tre autori.
Alla lettura, l’opera appare tanto didascalica quanto fredda e distaccata, manca di spunti innovativi e nessuno degli autori vi contribuisce con proprie riflessioni o espresse visioni. Insomma, un’operazione da un lato “culturale” di richiamo per chi in Russia volesse conoscere il Judo e il Sambo e dall’altro di “marketing” destinata a un pubblico generico anche internazionale di curiosi o di giovani. Di fatto, uno strumento di propaganda istituzionale e personale di Putin, laccata nella forma proposta dalla Mondadori, ma piuttosto retrò nei contenuti rispetto ai più “coinvolgenti” canoni occidentali. Un volume “didattico” che come nelle intenzioni di autori ed editore russo è stato distribuito – o almeno avrebbe dovuto esserlo – a sette milioni di giovani. oltreché a tutti i judoka russi anche in occasioni internazionali.
Ma chi è realmente il judoka Putin?
E’ veramente bravo? Qualcuno ha mai misurato il suo bagaglio tecnico, la sua maniera di combattere, la sua preparazione agonistica?
La risposta è difficile. L’unica cosa che si può dire con sicurezza è che sia un appassionato con una cinquantennale grande esperienza tecnica, ma se di studio o di pratica non si può affermarlo con sicurezza.
Per Ezio Gamba, oro olimpico a Mosca nel 1980, divenuto, proprio per volere di Putin, nel 2008 Commissario tecnico della nazionale russa e nel 2016 cittadino onorario russo, è “un judoka vero”, che si allena ogni 15-20 giorni, “estremamente efficace” – aggiungendo però – “Certo, anche io non sono più quello di una volta, gli anni dicono la loro… ma per la sua età è davvero efficace”. Un giudizio non solo “diplomatico”, ma dato per esserne stato in varie occasioni il suo sparring partner.
Per Capelletti, che lo conobbe personalmente nel 2001 durante uno stage per tecnici russi, si tratta piuttosto di un “tecnico stimato e apprezzato, indistintamente, da tutti i più alti livelli federali dei paesi dell’ex Unione Sovietica”, esprimendo nelle conclusioni la speranza e l’augurio “di poterlo incontrare sul tatami per praticare insieme lo sport che tanto ci appassiona e che tanto amiamo”.
Gli stessi inizi della sua passione per il Judo sono incerti, anche se riconducibili alla tarda adolescenza o prima giovinezza. C’è infatti chi lo vuole iscritto al Dojio Yawara di Leningrado all’età di 14 anni, ma altre fonti parlano di 11 anni e altre attribuiscono invece l’inizio del suo interessamento all’arruolamento nel KGB, avvenuto nel 1975. Alcuni, forse i più documentati, lo danno da subito e nel contempo interessato, o “più interessato”, al Sambo, del maestro Anatoly Rakhlin, divenuto poi suo amico e mentore anche nella sua ascesa politica. Di quegli esordi eroici, Rakhlin dirà con orgoglio di lui e di tutti gli altri ragazzi perlopiù dodicenni tolti dalla strada: “Ci capitava di allenarci per strada, nel fango o sotto la pioggia”.
Il Sambo, acronimo russo di “Difesa personale senza armi”, è la “lotta nazionale russa”, un’arte marziale mista derivante dal Jujutsu rivisitato e arricchito dagli inizi con lotta tradizionale russa, pugilato e Savate,nata per l’addestramento militare e sviluppata attorno agli Anni 20 da un discepolo diretto di Jigorō Kanō, Vasilij Oščepkov, cintura nera di secondo dan che, dopo il successo iniziale, morì in un gulag accusato di essere una spia del Giappone. Particolare omesso nel libro di Putin, anche se ne cita nome e contributo, come pure omessa è la sua riabilitazione postuma nel 1957 perché innocente.

Il libro e le tecniche di combattimento
Siamo pertanto di fronte a un manuale che, anche per le pagine dedicate al Sambo, definito nel testo “una tecnica terribile” di “combattimento vero e proprio”, dimostra la duplice intrecciata passione, rimasta intatta, dei tre autori, incluso il primo editore; tutti e tre (o quattro) maestri di entrambe le discipline.
In effetti per Putin il Judo e il Sambo sarebbero due scelte secondarie, perché il suo vero primo interesse “offensivo-difensivo” fu il pugilato, abbandonato dopo aver ricevuto un pugno in faccia che gli ruppe il naso. “Il dolore – è lui stesso a raccontarlo – era terribile, non riuscivo nemmeno a toccarmi la punta del naso per quanto mi faceva male”. Fu proprio dopo questo colpo che decise di cambiare per altre arti marziali meno pericolose in palestra, iniziando col Sambo. Comunque, tre scelte dettate da un’unica precisa esigenza personale, quella di difendersi con più efficacia “dalla e nella strada”.
Sia come sia, qualcuno scrive che a 20 anni era già cintura nera di Judo, grado che può essere raggiunto dopo mediamente 6 anni di vera pratica regolare, quindi presumibilmente siamo nel 1972, mentre altri riportano il 1976. Secondo la TASS, fonte ufficiale, divenne campione di Sambo di Leningrado nel 1973 e, sempre nella stessa città e palestra, di Judo nel 1976.
Nonostante le date siano ballerine, comunque, una cosa è certa, la “cintura nera” l’ha presa, perché altrimenti non avrebbe mai potuto avere i gradi successivi, i Dan. Però anche su questi ci sarebbe molto da scavare perché sino al “settimo” (Shichidan), che aveva nel 2013, non si conoscono per le altre le date di assegnazione né le motivazioni, ossia se Putin le abbia ottenute come le regole di tutte le Arti marziali giapponesi e non solo del Judo vorrebbero, attraverso esami, combattimenti vinti, insegnamento, pubblicazioni o promozione. Gradi assegnati da organi collegiali del Dojio stesso o di altri enti federali nazionali o internazionali, composti da gradi superiori.
Cintura nera, sì, ma quanti “dan”?
Dalla scarsa documentazione esistente, i dan di Putin, sembrerebbero ottenuti, i primi, per esami e i successivi per riconoscimenti “onorari”, interni ed esterni o diplomatici, ricevuti a partire dai suoi primi successi politici, come dimostra senz’altro l’ultimo “ottavo dan” (in verità cintura rossa nel sistema dei gradi Giapponese e USA) assegnatogli, per ennesima apparente compiacente coincidenza di date, proprio il 7 ottobre del 2012, giorno del suo 60° compleanno. Quel giorno Putin, Presidente onorario della Federazione Judo Internazionale, e Capo di Stato di un Paese strategicamente importante come la Russia, sembrava il miglior ambasciatore al mondo per il Judo. Tanto che il Presidente dell’IJIF, Marius Vizer, disse: “Vladimir Putin è il perfetto ambasciatore per il nostro sport”, aggiungendo “Per la nostra Federazione e per tutta la comunità di judo è un grande onore essere rappresentati da una personalità così importante come la sua – concludendo – il Presidente Putin è un grande rappresentante dei valori dal judo in tutto il mondo”. Lo stesso Vizer che in questi giorni lo ha prima sospeso dalla carica di presidente onorario e poi, il 7 marzo, rimosso da ogni incarico organizzativo assieme all’oligarca Arkady Rotenberg altro alto esponente del judo russo e dirigente nell’IJIF.
Assegnazione di “Dan onorari” di cui il palmarès di Putin si fregia, meglio si fregiava, anche per le attenzioni di altre arti marziali: “cintura nera di 9° dan”, nel 2013, assegnatagli dalla Federazione mondiale di Taekwondo, ora come per il Judo ritiratagli a causa dell’invasione dell’Ucraina,e nel 2014 “ottavo dan” di Karate Kyokushin-kan russo.
Accertato che Putin è un judoka resta da chiarire la portata della sua “bravura sul tatami” e, soprattutto, cosa sia veramente per lui il Judo. Anche qui le sorprese non mancano.