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Nucflash. Quali sarebbero le conseguenze immediate di un conflitto nucleare tra NATO e Russia?

Uno studio dell’Università di Princeton ci aiuta a capire dinamiche e disastrose conseguenze di un possibile scenario bellico nucleare globale

Nella terminologia relativa a contingenze nucleari a cura del Ministero della Difesa statunitense, Nucflash si riferisce alla detonazione o possibile detonazione di un’arma nucleare che implichi il rischio di scatenare un possibile scontro bellico. Molti si ricorderanno il termine Broken Arrow che diede nome al film del 1996 con John Travolta e Christian Slater, estratto dallo stesso manuale, in riferimento ad episodi nucleari accidentali non in grado da soli di innescare tale eventualità. La terminologia fu creata per snellire le comunicazioni in caso di evento reale e la differenza tra i due termini risiede esclusivamente nella possibilità implicita dell’episodio di sollecitare un possibile conflitto o ritorsioni belliche nucleari. 

La direttiva impartita sabato scorso dal presidente russo Vladimir Putin ai suoi militari di mettere in “high alert” i sistemi di deterrenza nucleare del paese in risposta alle “dichiarazioni aggressive” dei paesi della Nato, sembra scandire il fatto che il facile mini-conflitto auspicato dal leader russo, che si sarebbe dovuto concludere in tempi brevissimi e con limitate perdite collaterali, non aveva fatto i conti con la resilienza ucraina e la poca voglia della popolazione di cedere il paese senza prima esercitare una forte, disperata risposta.

 Il più recente attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia -considerata la posta in gioco- non fa che corroborare la quasi assoluta mancanza di scrupoli che continua a marcare i movimenti dettati dalla leadership del Kremlino in terra ucraina.

Non è la prima volta che il presidente russo utilizzi lo spauracchio nucleare; i regimi autocratici devono per forza di cose stimolare e coltivare la paura in quanto questa rappresenta la linfa vitale su cui giace e si perpetua il regime stesso. La minaccia porta la firma di un individuo che comprende a fondo quanto l’ulteriore protrarsi del conflitto comporti un sostanziale indebolimento del suo “indice di gradimento”, stimolando le sempre più pesanti misure di supporto che un numero crescente di Paesi appare impaziente di mettere in atto, nel tentativo di scoraggiare quello che ormai è visto come un prepotente, quanto sanguinoso atto di aggressione. 

Premesso che il prolungarsi della resistenza ucraina e l’aumentare delle perdite riportate dalle forze armate russe potrebbero innescare una risposta molto meno scrupolosa da parte del Kremlino, come quella descritta nell’intervista di Maurizio Stefanini  ad Antonio Stango, attivista e fondatore della Federazione Italiana Diritti Umani, pubblicata su Libero di oggi, in cui fa riferimento alle stragi che presero luogo in Cecenia nel 1995 quando “lo stato maggiore russo decise di radere al suolo Grozny con bombardamenti indiscriminati”. La poco velata minaccia di una risposta nucleare finisce appunto col dissimulare il fatto che gli eventi non sembrino andare esattamente secondo il copione anticipato. Un vincitore non ha certo bisogno di fare minacce. 

Adesso anche la lealtà dei filo putiniani, coloro che tendono a  legittimare il conflitto come giusta reazione alla “fastidiosa” postura dell’ovest e della NATO e lecito repulisti da un “regime nazista di drogati genocidi” ucraino (presieduto da un ebreo), comincia a vacillare, mentre si assiste alla materializzazione di questa nuova incarnazione del “threat” in veste di apoteosi della cosiddetta cancel culture, il “coltello di Caino che incapace di comprendere il bene o imitarlo, preferisce cancellarlo per rimanere unico, ignorante, violento e mediocre” descritto così bene nel recente articolo “Nessuno Tocchi Abele” del nostro Ferdinando Scala. Solo che questa volta l’oggetto da cancellare si estende a tutta la dissidenza -ovunque essa sia- dunque gran parte del pianeta e i vincitori divengono prevedibilmente materia incerta e volatile, almeno quanto un fallout in una ventosa giornata di marzo. 

Alla luce di queste intimidazioni, quali sarebbero le conseguenze di un conflitto termonucleare tra NATO e Russia? 

I ricercatori dell’Università di Princeton hanno sviluppato un potenziale scenario bellico utilizzando “valutazioni indipendenti delle attuali posizioni strategiche americane e russe, piani di guerra e obiettivi nucleari.”
Il risultato, un raccapricciante clip della durata approssimativa di quatto minuti dal nome “Plan A”, mostra gli effetti devastanti di tale conflitto . 

Video sviluppato grazie all’uso di NUKEMAP, un programma creato per studiare le conseguenze di esplosioni nucleari, offrendo all’utente la capacità di selezionare città e tipo di ordigno utilizzato.

Il numero dei decessi nei primi 45 minuti di tale conflitto, ammonterebbe secondo gli studiosi a 3,1 milioni di persone solo tra Russia e Stati Uniti. 

Nelle prime ore delle ostilità, il numero delle vittime, senza includere effetti a lungo termine come il fallout nucleare, si aggira intorno ai 91.5 milioni tra Asia, Europa e Stati Uniti.

Chiaramente questi scenari di possibile scontro “all out” nel contesto di una guerra nucleare globale, per quanto non del tutto impossibili, sono piuttosto improbabili. 

Ci si auspica che i diversi strati di deterrenza, scaturiti in parte dall’esperienza acquisita durante la cosiddetta guerra fredda e sviluppatisi durante decenni di studi ed applicazioni di nuove tecnologie e contratti legalmente vincolanti siano sufficienti a scongiurare un’eventualità dalle conseguenze così disastrose.

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