
Ho iniziato scrivendo di telefonia, poi di rete elettrica, ultimamente di gas. Manca adunque l’acqua per completare il ciclo delle bollette classiche, quelle che un tempo si mettevano sopra il frigo in cucina. L’acqua è un bene sancito tra i diritti dall’ONU. “Access to water and sanitation are recognized by the United Nations as human rights, reflecting the fundamental nature of these basics in every person’s life.” Il diritto all’acqua deve essere “safe, acceptable, physically accessible and affordable”. Quando con il Decreto Legge n. 201/11 (c.d. “Salva-Italia”) sono state trasferite all’Autorità originariamente dell’energia elettrica e gas “le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici”, cui poi seguirono quelle su teleriscaldamento / teleraffrescamento e smaltimento rifiuti, nessuno in AEEG , oggi ARERA, fece salti di gioia. Molti, io fra questi, furono precettati nelle commissioni di concorso per reclutare 40 persone addizionali. Il clima era infuocato perché nel Paese si era svolta il 12 e 13 giugno 2011 una tornata referendaria abrogativa che al Quesito n.2 chiedeva, su iniziativa dei Comitati per l’acqua, di escludere dalla tariffazione la remunerazione del capitale investito. Il quesito raggiunse il quorum (55%) e come atteso ottenne il 96% di Sì: disse una volta un celebre e focoso critico d’arte, se alla gente dai il palazzo da abbattere, la gente lo abbatte. In quel clima, l’orientamento tariffario dell’Autorità, che, essendo regolatoria, emette delibere con forza di legge, non era ben visto; il sito fu bersaglio di bombing e un venerdì sera, tornando, come sempre, con il Frecciarossa da Milano a Roma, quando su domanda di uno dissi che ero dell’AEEG, dall’auscultante fondo della carrozza volarono sarcasmi e minacciose premonizioni sulla fine che avremmo fatto. Ah, quando c’erano i vecchi scompartimenti dei direttissimi, dove potevi dire di tutto come in confessionale…
Sul sito dell’ARERA scopriamo che il costo IVA inclusa per 150 mc di acqua ha ampia variabilità nazionale e regionale, attorno a un valore medio di circa 300 € e in quella spesa il 40% è costo d’acquedotto e 30% depurazione. I “costi fissi” sono gli oneri di sistema per la disponibilità del servizio idrico.
ll servizio idrico integrato è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue, compresi i servizi a usi multipli e i servizi di depurazione misti civili e industriali, e deve essere gestito “secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità”. L’Autorità interviene in materia tariffaria e su quello che si definisce il piano d’ambito; per la trasparenza della contabilità richiede agli operatori la disaggregazione di costi e ricavi per funzione svolta e area geografica (il c.d. unbundling, o separazione contabile, come per elettricità e gas). Interviene in fatto di qualità, determinando anche obblighi di indennizzo in caso di violazione; tutela i diritti degli utenti e delibera sui rapporti tra chi affida il servizio e il gestore. La tariffa è predisposta dal governo dell’ambito o dagli altri soggetti competenti per legge regionale, e trasmessa all’Autorità per l’approvazione. In caso di inerzia dell’ambito, l’iniziativa spetta prima all’ARERA e in extrema ratio al gestore.
Dal 1° gennaio 2021 è entrata in vigore la nuova tariffazione “pro-capite” introdotta da ARERA attraverso la Delibera 665/2017/R/idr. Nel sistema tariffario precedente, ogni utenza domestica residente, indipendentemente dalla sua numerosità, aveva a disposizione lo stesso quantitativo di acqua potabile in prima fascia, ovvero a tariffa agevolata, in seconda fascia ovvero a tariffa base, in terza fascia ovvero alla tariffa di prima eccedenza, e così via. Ora, invece, per le sole utenze domestiche residenti, sono state definite delle fasce di consumo, le quali determinano lo scatto verso una tariffa superiore, che diventano più ampie al crescere dell’ampiezza del nucleo familiare, secondo il principio progressivo del ”chi inquina paga”. Il consumo medio giornaliero di acqua per 4 persone è pari a circa 660 litri, cioè duemila delle solite lattine di Coca-Cola che usiamo come campione, mentre per tale nucleo il consumo medio annuale di acqua è 180 metri cubi (di fatto si considera nei calcoli un carico di 150 mc perché ormai le 4 persone sono quasi un miraggio). Qui lo schema di Acea ATO 2.
Le tariffe del servizio idrico sono diverse sul territorio nazionale, perché seguono il principio della copertura dei costi efficienti di esercizio e, attenzione!, di investimento e questi costi risultano molto differenziati tra le diverse aree del Paese. Vi sono zone in cui, per le caratteristiche orografiche del terreno, l’acqua deve essere pompata in su, con un forte impiego di energia.
Nell’ambito territoriale ottimale (ATO) istituito nel 1994 era organizzato il servizio idrico integrato (con riferimento ai bacini idrografici), e su di essi agivano le Autorità d’ambito, strutture dotate di personalità giuridica che organizzavano, affidavano e controllavano la gestione del servizio integrato. Secondo la legge 42/2010, le Autorità d’Ambito avrebbero dovuto essere abolite entro marzo 2011 e le funzioni riattribuite alle regioni e consolidate in Autorità. Ciò è avvenuto in modo disomogeneoper cui le bollette (p.es. ACEA) riportano tuttora diciture tipo ATO, ATO2.

Era necessario permettere l’iscrizione degli operatori idrici nell’Anagrafica centralizzata dell’Autorità suddivisi per attività:
- Captazione
- Potabilizzazione
- Adduzione
- Vendita all’ingrosso
- Distribuzione e vendita agli utenti
- Lettura contatori
- Fognatura
- Depurazione
- Altre attività (trattamento percolati, manutenzione bocche antincendio, trattamento bottini, verifica contatori, servizi di laboratorio/ingegneria, etc.).
L’ISTAT ha in complesssivo l’elenco delle imprese con le attività svolte, gli impianti di riferimento e le località servite. Il sistema unbundling venne strutturato come per i servizi energetici. L’Autorità ha preso in carico il sistema apposito del Ministero Ambiente (MATTM), un software che trovammo vecchiotto e artigianale (chiamato SIVIRI), per poi avviare un progetto di “reingegnerizzazione” in collegamento con l’anagrafica centralizzata. In sostanza, sono stati riapplicati i sistemi dell’elettrico (l’anagrafica, l’unbundling, i dati di qualità, i dati tariffari, l’anagrafica territoriale, etc.). Tra gli eccetera ce n’è uno importantissimo per comprendere la logica tariffaria: la RAB (Regulatory Asset Base).
La RAB rappresenta una grandezza di riferimento primaria per la determinazione dei ricavi annui, e quindi del conto economico, di molteplici aziende operanti in settori regolati di pubblica utilità come, ad esempio, i servizi di trasmissione, di distribuzione locale e misura dell’energia elettrica così come i servizi di trasporto, distribuzione, stoccaggio e rigassificazione del gas naturale. Si tratta di servizi “in uscita” da monopolio (scorporo p.es. di ENEL) e in ex-gestione a municipalizzate. Per ogni investimento effettuato dalle aziende fornitrici di servizi regolati nell’ambito delle attività di concessione, l’Autorità ha concepito un meccanismo di remunerazione basato su:
- costi di ammortamento degli investimenti effettuati
- rendimento degli investimenti, calcolato a partire dal capitale investito netto moltiplicato per il costo medio ponderato del capitale, WACC (Weighted Average Cost of Capital), prestabilito dall’Autorità all’inizio di ogni periodo regolatorio
La RAB rappresenta quindi il valore del capitale investito netto calcolato sulla base delle regole definite per le aziende fornitrici di servizi sottoposti alla regolazione dell’ARERA al fine della determinazione dei ricavi di riferimento. Per il settore dell’energia elettrica e del gas è previsto che le remunerazioni dovute alle aziende fornitrici dei servizi regolati calcolate sulla base della RAB vengano ricavate da appositi contributi pagati dai consumatori di energia in bolletta: si pagano in bolletta, li paghiamo. Chiaro ? Sono riuscito a spiegarmi ?
Tale metodologia è utilizzata nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea ai fini della valutazione del rischio e della conseguente fissazione del livello del costo del capitale per le attività regolate. L’Autorità identifica il livello di rischio tipico di settore e fissa il tasso di rendimento in modo da garantire ai portatori di capitale, di rischio e di debito, dell’impresa una remunerazione pari a quella che potrebbero ottenere sul mercato investendo in attività con un analogo profilo di rischio. Chiaro ?
Per il gas, fra trasporto, rigassificazione, stoccaggio e metering si va tra 5.5% e 6.5%, per l’elettricità (trasmissione AT, distribuzione e metering) i valori sono tutti attestati attorno a 6.5%. L’idrico mostra una tendenza a ribassare il rischio che è sceso da 6.5% del 2012 al 5.5% circa a cui si è andato assestando negli ultimi anni. Tutto il complesso schema tariffario dell’ARERA idrico è qui. Il tremendo calcolo del WACC idrico qui. Capirete come tutti questi calcoli da finanza ipercapitalistasull’acqua bene primario abbiano mandato ai matti i free water. E’ comprensibile come questo sia il primo punto su cui ognuno debba riflettere. L’acqua in Borsa come in California ? Leggete qui.
L’altro punto su cui riflettere è la condizione di vetustà del sistema degli acquedotti con la conseguente inefficienza e lo spreco selvaggio. Su 8 miliardi di mc totali in rete, la percentuale di perdite idriche nazionali è del 42%: recuperando queste perdite si potrebbe garantire il fabbisogno di acqua a circa 44 milioni di italiani. Nella hit-parade dei colabrodi la Sardegna spicca con punte di oltre il 60% mentre la Valle d’Aosta, anche per l’orografia, virtuoseggia con il 20% circa. A Bari, per chi si informava sull’Acquedotto Pugliese, si perde la metà dell’acqua captata. L’Italia preleva soprattutto l’acqua del sottosuolo: l’85% del totale arriva da sorgenti e pozzi. Tutto l’arco alpino è fondamentale.
Tanta è l’evidenza di questa anomalia colabrodaria da attrarre l’attenzione di nientemeno che National Geographic. Che dire ? La serissima rivista la prende alla lontana, dall’Aqua Appia. D’altra parte, il ponte Morandi è caduto, quello Milvio mai. L’Italia ha un’impronta idrica altissima, cioè ne usa tanta, la preleva dal sottosuolo e non sfrutta la desalinizzazione, né nell’agricoltura né nell’industria. Nel mondo ci sono circa 17.000 impianti di desalinizzazione che riforniscono 300 milioni di persone: quelli australiani p.es. sono cresciuti in maniera costante nei periodi di siccità, mentre Israele utilizza questa tecnologia per esportareacqua dolce. Lo faceva già nel Mar Morto quando ci andai nel 1980 (ragazzi, che caldo allucinante). In Sardegna (Sarroch), un impianto di desalinizzazione fornisce 12.000 metri cubi di acqua al giorno all’industria locale e impianti simili potrebbero aiutare l’isola almeno per le carenze stagionali.
Progetti di stoccaggio su scala più ampia, come i bacini, soprattutto al Nord, sarebbero particolarmente utili se combinati con il trasferimento dell’acqua per laminare le eccedenze tra regioni. L’orografia dell’Italia rende questi trasferimenti via tubi tecnicamente complessi ma non impossibili. Certo, non in Sardegna. Ogni anno, la Puglia riceve 250 milioni di metri cubi di acqua via Basilicata e così stava pensando di farsi portare altra acqua dall’Albania attraverso il Mar Adriatico. Dissalare, why not ?
La stima che fu fatta a larghe spanne illo tempore era di 20 mld € di investimenti per l’ammodernamento della rete. Il PNRR (o Next Generation EU come si dovrebbe chiamare), alla Missione M2 Rivoluzione (!) Verde e Transizione Ecologica prevede la Componente C4 Tutela del territorio e della risorsa idrica: 15,6 mld € su 222 totali, incredibile. Quanto la Salute, e fin qui…. Ma anche quanto i cappotti termici degli edifici comprese le quinte case dell’effimero potentato. Si vede che le priorità le sappiamo mettere. Ci siamo ficcati in testa che il nemico è il CO2 e allora avanti.
Insomma, l’acqua è un problema. Aspettiamo che diventi un’emergenza? Anche questa?
