
Sono bastate poche ore dall’entrata delle forze russe – si fa fatica a non definirle sovietiche – in territorio avversario, che il web si è immediatamente riempito dei commenti più disparati. Una vera manna per gli esperti estemporanei di qualunque cosa, allorché dopo un biennio la pandemia comincia a mostrare segni di stanchezza.
Da una parte stanno i fautori dell’uomo forte, segretamente ammiratori di chi ha il coraggio ed insieme l’incoscienza di spingere il proprio paese in guerra. Gli argomenti presentati da questi ultimi sono normalmente legati alla necessità, da parte della Russia, di prevenire l’entrata dell’Ucraina nella NATO. Un atto, quest’ultimo, che avrebbe costituito un pericolo serio ed immediato per il ruolo strategico della Russia stessa.
Dall’altra, ci sono i teatranti dello sdegno, gli inconsapevoli cresciuti a unicorni e politically correct, convinti che per risolvere il problema basti una severa – ma non troppo, dovesse offendersi o riportare danni psicologici – alzata di sopracciglio contro il cattivone di turno, perché questo chieda scusa e prometta di non farlo mai più. D’altra parte, il grosso e ringhiante cane nero sta ancora dietro al cancello di ferro, e da questa parte possiamo ancora cantare tutti in coro Kumbaya.
Infine, ci sono i Franza o Spagna, che non amano giocare a Risiko o sventolare bandiere arcobaleno, ma sono solamente preoccupati dal proprio benessere. Mentalmente pigri e ben pasciuti, sono indifferenti ai discorsi degli uni e degli altri, e sono unicamente interessati a capire che impatto avrà tutto questo sul costo delle bollette e del pieno di benzina.
Nel gran chiacchiericcio generale, gli unici a guardare i teleschermi con crescente disagio sono gli storici. Nella loro memoria collettiva, minacciosamente fuori posto come un pezzo di ossidiana nera in un campo fiorito, c’è un momento del XX secolo in cui personaggi psicologicamente simili a quelli attuali hanno causato il più grande disastro della Storia.
Da una parte, gli esponenti del mondo democratico, capi di Stato e diplomatici, immersi nel proprio relativo benessere e terrorizzati dalla prospettiva di guardare in faccia la realtà ed assumersi le proprie responsabilità. Dall’altra, un dittatore reduce di guerra che aveva visto il proprio paese piombare nell’anarchia e nel disastro economico, ed aveva dedicato i successivi venticinque anni a realizzare l’idea di riportare indietro le lancette della Storia.
Allora, tutto è cominciato con piccole mosse, con richieste apparentemente ragionevoli, con violazioni minime dello spirito e della sostanza dei trattati di pace. E il mondo democratico è rimasto a guardare, tronfio della vittoria nella Grande Guerra, tremebondo di un nuovo scontro ed impreparato ad affrontarlo, dissennatamente buonista, debolmente conciliante, tremendamente diviso ed incerto sul da farsi.
E poi sono venute le piccole e grandi annessioni, sempre giustificate da motivi di sicurezza nazionale, dalla necessità di difendere popolazioni etnicamente affini dalle prepotenze e dalle violenze della popolazione dominante. L’inizio di tutto è stato l’Anschluss, l’annessione dell’Austria, davanti alla quale le democrazie occidentali hanno fatto spallucce: in fondo, erano tutti tedeschi, che se la sbrigassero tra di loro.
I carri armati russi che marciano su Kiev senza incontrare praticamente resistenza danno una sensazione di déjà vu, quella di una passeggiata militare messa in atto da uno Stato molto più forte ai danni di uno debole.
La diplomazia europea – quella che, giudicando dal suo curriculum, è un oggetto misterioso per il Ministro degli Esteri italiano – dovrebbe immediatamente aprire un dialogo, ma stringendo tra le mani un nodoso bastone. Quel bastone fatto di programmi di difesa comune, finanziamenti adeguati, sforzi di coordinamento e lungimiranza di programmazione, che un’incosciente politica trentennale ha ridotto ad uno scenografico quanto inutile ramoscello d’ulivo.
In attesa di capire come la situazione evolverà, dovremmo trarre alcune lezioni di base per il prosieguo delle nostre vite. Innanzitutto, che non è vero che uno vale uno, può valere anche quasi zero, specie in situazioni in cui quell’uno viene dopo la virgola della realtà. E poi, molto più importante, che per quanto ci piacerebbe che fosse il contrario, dobbiamo prendere atto che il mondo è pieno di muri, e che in cima a quei muri qualcuno ci deve pur stare.