CITTADINI & UTENTI

Hate speech

Recenti sviluppi in tema di discorsi d’odio e hate crimes che “mettono in gioco l’integrità fisica e la dignità della persona umana”.

Recentemente si è tenuto a Lille, in Francia, il vertice informale GAI che ha riunito i ministri della Giustizia e degli Interni dei paesi membri dell’Unione Europea. Tra i temi affrontati c’è stato quello relativo ai discorsi d’odio che, come sottolineato dalla stessa Ministra Cartabia, non possono essere contrastati solamente attraverso il ricorso al diritto penale, bensì occorre “educare, prevenire e riparare”.

Se da un lato il vertice ha visto il Commissario Europeo alla Giustizia Reynders accogliere l’appello della Commissione Europea di inserire i discorsi di incitamento all’odio tra i crimini dell’Unione Europea, così come previsto dall’art. 83 del TFUE, al fine di rimarcare come gli stessi siano incompatibili con i diritti fondamentali della persona e con i valori su cui poggia l’Unione europea, dall’altro la Ministra ha sottolineato in primis come occorra trovare un punto di equilibrio – assai arduo nella pratica – tra la definizione del nuovo reato, l’identificazione dell’autore del reato e la tutela della libertà d’espressione, aggiungendo poi che punto fondamentale sarà l’attuazione della giustizia riparativa, oggetto della legge delega di riforma del sistema penale, su cui sta attualmente lavorando una commissione presieduta dal professor Cerretti.

L’attenzione sui discorsi d’odio è stata ribadita dalla professoressa Cartabia pochi giorni dopo, in occasione dell’audizione in Senato dinnanzi alla Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, presieduta della senatrice Segre

Nell’intervento è stato dapprima evidenziato come vi è una diffusa cultura dell’indifferenza che non fa altro che aggravare il problema: nel 2020, secondo l’Agenzia Europea dei Diritti Fondamentali, sono stati 3.520 in Europa i casi di antisemitismo denunciati: mille di più quelli stimati; di quelli considerati “ufficiali” 101 sono avvenuti in Italia. È stato poi ripreso il problema delle “echo chambers”, così come sono definite le piattaforme sociali, che nella più completa anarchia, in parte protetti da anonimato, permettono a chiunque di condividere pensieri carichi d’odio e alimentarne la diffusione.

La normativa attuale, sia essa di natura comunitaria – come la decisione quadro 2008/913/GAI o il Codice di condotta volontario rivolto ai grandi di internet, atto di soft law adottato da alcuni Giganti del Web – sia di natura italiana – si pensi ai reati di diffamazione (595 c.p.) o di propaganda o istigazione a delinquere per motivi di discriminazione (604bis c.p.), senza tralasciare la circostanza aggravante prevista dal 604 ter c.p – non basta. I risultati, come preventivato da gran parte della dottrina nostrana, sono stati deludenti: meno di 300 iscrizione nel registro dei reati nell’arco di 5 anni e di queste, circa l’80% vengono archiviate.

Anche nell’ottica del diritto penale come extrema ratio, occorre percorrere altre strade: sensibilizzazione, educazione fin dalle scuole e poi percorsi di rieducazione e riparazione per i condannati: “una giustizia che si fa carico della possibilità di domare la rabbia della violenza e di ricostruire legami, spezzati dal reato, ponendo al centro l’incontro fra autore e vittima”.

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