
Come promesso vi racconto episodi di vita vissuta degli anni Ottanta dello scorso secolo (Zia Biancaneve non è una ragazzina). Anche allora non possedevo televisore: la TV non avrebbe uno spazio nelle mie giornate e quanto vedevo nei televisori delle mie stanze d’albergo, molto frequentate all’epoca in quanto pendolare, non mi stimolava a creargliene. Tutto cominciò con una lettera (allora erano rigorosamente di carta) relativamente gentile che mi ricordava di pagare il canone, formulando ipotesi sul mancato pagamento (dimenticanza, perdita del bollettino…). Risposi che non possedevo televisore e dunque non c’era motivo per chiedermi di pagare. Ma non fu molto utile: le lettere si susseguivano, sempre più minacciose (il senso era “lei è una ladra”); la più comica, ormai del 1991, diceva: “A seguito di un controllo degli elenchi-abbonati risulta che Ella non è titolare di abbonamento TV. Riteniamo quindi opportuno richiamare la Sua attenzione sull’obbligo di contrarre l’abbonamento TV, per chiunque detenga un apparecchio atto a ricevere le trasmissioni televisive (Art. 1 R.D.L. 21.02.1938 n.246 e D.M. del 28.01.1977 e art. 27 L. 6.8.1990 n. 223)”; veniva quindi indicato l’importo (L. 42.185) da versare mediante bollettino allegato, e seguiva l’esortazione a comunicare l’eventuale avvenuto pagamento, a nome mio o di familiari conviventi “onde evitarLe il disturbo dell’accertamento domiciliare, effettuato con personale autorizzato al censimento dell’utenza, a norma dell’art. 18 della Legge n. 103 del 14.04.1975)”. Formidabile: non so se Kafka avrebbe potuto fare meglio. L’inizio ricorda Comma 22.
Rileggendola, mi compiaccio della mia risposta, datata 16 x 1991, che vi copio perché mi sembra (si fa per dire) divertente:
“Vi invio copia della Vostra lettera pervenutami il 13 X, stupita e preoccupata del Vostro comportamento, che mi sembra simbolo di una sindrome assai diffusa, nota sotto il nome di delirium omnipotentiae. Su quali basi ritenete che in Italia il possesso di un televisore sia obbligatorio? Non Vi sfiora neppure il sospetto che possa trattarsi di un apparecchio superfluo e che senza di esso si possa vivere (e anche piuttosto bene)? La vostra visione della realtà ricorda passaggi da Orwell, con Il Grande Fratello.
Già anni addietro mi attribuiste – non è stato mai chiarito su quali basi – il possesso di un fantomatico televisore a colori, per il quale ricevetti da Voi una minacciosa persecuzione epistolare e, infine, la visita di un Vostro impiegato, che esortai a frugare a volontà nel mio appartamento. Essendosi rifiutato, affermando che l’accertamento era compito della Guardia di Finanza, gli chiesi di sollecitare un’ispezione, che non venne mai.
Alla Vostra sollecitudine in campo televisivo corrisponde invece una notevole inefficienza in quello radiofonico: da anni ho pagato l’abbonamento iniziale sulla radio e sono ancora in attesa dei bollettini per gli abbonamenti successivi – Voi vietate di pagare su altri moduli.
Con i migliori saluti”
Forse perché bloccati dalla menzione della persecuzione epistolare, o forse del delirium omnipotentiae, che non riuscivano a trovare sul dizionario d’inglese (l’anglomania era già iniziata) alla fine mi abbandonarono. L’impiegato mi spiegò che forse tutto era stato provocato dall’acquisto da parte mia di un televisore come dono di nozze o altro: gli risposi che non avrei regalato un televisore neppure al mio peggiore nemico.
Et de hoc satis (= e chiudiamola qui… spero).