
È di recente girata, sulle chat di noi perdigiorno ormai per età inadatti a più serie attività quali le conquiste femminili, un’impietosa parodia americana di pubblicità alla Mercedes “a batterie stilo”. Cosa esilarante che vi esorto a vedere ma che non rende giustizia al mondo dell’accumulo di energia, ben più complesso e in certo modo ineludibile, stando alle cifre e alla bellicosità anti-carbonio con cui si è aperto questo millennio. La non programmabilità delle fonti rinnovabili, quali fotovoltaico ed eolico, la necessità di rifornimento per flotte massicce di auto elettriche, il crescente ricatto geopolitico sulle fonti fossili impongono seri (anche in Italia …) vincoli di pianificazione dei sistemi elettrici.
La spinta alla decarbonizzazione avviata con il protocollo di Kyoto 1997 e la COP 21 di Parigi 2015 impone le famose 4D di cui già abbiamo parlato ma su due aspetti dobbiamo oggi pragmaticamente soffermarci: la decentralizzazione della produzione e la digitalizzazione del sistema elettrico che stanno alla base di un concetto molto concreto: l’Energy Cloud. In essa convergono i “soldatini elettroni” con la carica elettrica e quelli con i byte delle informazioni. La metafora fu usata dall’attuale Presidente dell’ARERA, Besseghini, allora in altra veste, durante un “caminetto” anni fa. Apro e chiudo brevissima parentesi, poi riprendo il filo, non temete. In questo Paese facevamo anche i caminetti, discettando di acqua calda e sesso angelico, attorno a un ipotetico focolare, magari con due dita di Armagnac (sommo fra i sommi) e rispettando le regole di Chatham House. Ma venne un uomo chiamato Speranza.
Dunque, una rete unica contiene energia e informazioni su come dosarla e indirizzarla. Oggi ci concentreremo sui soldatini con la carica, la prossima volta sul sistema informatico che li gestisce.
Il modello tradizionale del sistema elettrico prevede generazione, trasmissione, distribuzione AT / MT / BT prima del contatore di casa (before the meter). L’accumulo rende flessibile la rete intervenendo fra le fasi; naturalmente, ancora più tangibile ne diviene l’apporto nelle applicazioni dirette, cioè nel carico elettrico: veicoli elettrici, accumulatori per FV behind the meter(quando non c’è il sole e di notte posso fare funzionare la baracca con il residuo di solare veicolato dall’inverter e non utilizzato durante il giorno: abbiamo studiato il bilancio energetico di una latteria che con il sole allevava e mungeva e di notte con le batterie poteva imbottigliare, eliminando un impianto a biometano ormai obsoleto). Questo si chiama time shift dell’energia.
Inoltre, l’accumulo entra sempre a fare parte di Micro Grid per piccole comunità, nelle reti per l’eMobility o Vehicle to Grid, nella virtualizzazione dei servizi (una chiavetta in tasca vi porta a indirizzare ogni consumo di energia, p.es. la doccia in palestra, al vostro conto elettrico in cloud) e nella gestione dell’Energy on Demand.
Una volta accumulata, l’elettricità è come acqua in recipiente e può essere erogata secondo energia (quantità d’acqua versata) e potenza (il flusso generato secondo il teorema di Bernoulli). Non sempre e non in tutte le forme di accumulo, come vedremo fra poco, le due variabili (kwh e kw) sono tra loro indipendenti e questo non perché la variabile tempo che le lega subisca diavolerie einsteiniane o quantistiche ma perché strutturalmente gli elettroliti non si prestano sempre a ogni combinazione E – P. Esisteranno perciò applicazioni in potenza e in energia.
Nel 2016 risultavano installati a livello mondo oltre 170 GW di capacità così suddivisi: 60 GW in Asia, 45 GW in Europa (di cui 7 in Italia), 21 GW negli USA e la restante quota altrove. Tuttavia, di questi, solo un 5% era rappresentato da soluzioni avanzate e innovative, soprattutto sostitutive rispetto al tradizionale.
Il biblico o se vogliamo prometeico libro delle profezie Mc Kinsey non esita a porre lo storage elettrico fra le 12 tecnologie disruptive:

Occhio a questi Prometei. Negli anni 80 furoreggiò Megatrends, le 10 tendenze che avrebbero cambiato il mondo. Non c’era l’Internet. Il famoso In Search of Excellence sciorinava le eccellenze aziendali, oggi ne sono rimaste autonome e in piedi meno del 20%. In questo caso, però, Mc Kinsey credo abbia centrato il punto e non solo per lo storage elettrico. A meno della disruption pandemica.
Secondo una stima di Boston Consulting Group si tratta di circa 280 mld$ cumulativi di investimenti al 2030. Per quanto concerne l’Italia, nel 2016 sono attivi 56 MW di impianti di accumulo elettrochimico, di cui il 56% è collegato alla rete (utility scale) ed in gran parte di proprietà di Terna (50%) ed Enel (30%). Si tratta di circa un centesimo della capacità di produzione idroelettrica nei grandi bacini italiani (ca. 7 GW). Nel 2016 l’Energy Strategy Group del Politecnico di Milano stimava il mercato potenziale in Italia al 2025 tra 1.6 e 2.2 mld€ per servizi behind the meter, cioè in sostanza FV fuori rete, senza restituzione sul posto.
Gli accumulatori al piombo sono quelli con il più alto livello di maturità tecnologica e commerciale. È la tecnologia più diffusa al mondo, con 130 GW. Seguono per vendite mondiali quelle al litio, tallonate da quelle al NI / Cd che sono indicate per operare a basse temperature con elevata vita utile. L’evoluzione dell’accumulatore nichel/cadmio è sensibilmente rallentata per i problemi ambientali legati alla presenza del cadmio e viene sostituita da nichel/idruri metallici. Questi ultimi si dividono con il litio il mercato della trazione dei veicoli elettrici ibridi, perché l’infiammabilità del litio in alcuni casi ne impedisce l’uso.
Esistono poi batterie particolari ad alta temperatura, sodio/zolfo e sodio/ cloruro di nichel, che lavorano ad una temperatura interna di circa 300°C, necessaria per portare gli elettrodi allo stato fuso e per aumentare la conducibilità dell’elettrolita; sono in grado di fornire energie specifiche molto elevate senza ricorrere a materiali pregiati e rari.
La partita del futuro sembra però giocarsi fra litio e batterie a flusso di elettrolita. Le batterie agli ioni di litio sono caratterizzate da ottime prestazioni in termini di energia e potenza specifica, altissimo rendimento energetico, vita attesa molto lunga. Il litio è il metallo con il più basso peso atomico (relativo) e una capacità specifica molto alta, pari a 3.86 ampère ora / kg.
Le batterie a flusso di elettrolita sono in grado di accumulare energia elettrica in soluzioni elettrolitiche contenenti differenti coppie redox (un ossidante e un riducente, in forma ionica, completamente disciolti in soluzione acquosa). Le soluzioni dell’elettrolita positivo e negativo sono messe in circolazione da pompe e si interfacciano attraverso una membrana che permette lo scambio ionico, impedendo però il mescolamento delle soluzioni. Il circuito esterno rende disponibile la tensione ai morsetti. La loro caratteristica più importante è il totale disaccoppiamento tra le caratteristiche di potenza e di energia. Gli accumulatori a flusso di elettrolita si prestano in modo particolare ad applicazioni di energia (da centinaia di kwh fino a decine di Mwh), con vita attesa piuttosto lunga. Un caso particolare che ho studiato è quello delle batterie redox al vanadio, caso particolare di 4 ionizzazioni dello stesso metallo (da V2+ a V5+), che possono superare i 20.000 cicli di carica/scarica, come si è detto a qualsiasi coppia di energia / potenza (cioè di tempo di scarica completa in ore). Diventa quindi essenziale la portata delle pompe perché la capacità della batteria dipende solo dalla capacità dei serbatoi. Il vanadio è raro e costoso e poi andrebbe portato alle colonnine stradali con grandi autobotti (diesel?). La tossicità / cancerogenicità dei metalli in generale va poi tenuta in conto: sono soldatini abbastanza pericolosi. Alla prossima.