
Il CITE (Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica) ci annuncia che nel 2035 si darà lo stop (come se fosse il televoto) alle auto con motore a combustione interna. Ecologia … viene in mente il film di Verdone , quando il cugino chiede al Figlio dei Fiori se quella lì è la sua fidanzata: “A parte che ‘sto nome me sa che ce sei rimasto solo te a usallo …”. Un pronunciamento, questo del CITE, che non si sa bene quanto valore abbia, viste le quattro pinzillacchere che si porterebbe appresso e non sapendo a quale ondata del Covid saremo nel 2035. Una notizia poco meno che ferale per il brand Italia, eppure salutata con il solito ardente entusiasmo. Gli stabilimenti, sappiamo, si possono riconvertire all’allevamento delle cozze.
Da tempo, su emissioni e mutamenti climatici non si legge più niente di nuovo e/o serio. E’ passato in giudicato. Si è ora nella fase implementativa: spezzeremo le reni all’era interglaciale come le stiamo spezzando alla pandemia. Perfetto, non lo dice anche il serpente a Eva ? Eritis sicut dii.
Vladimiro Giacchè, nel suo libro del 2008 “La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea”, indaga un fenomeno molto comune da sempre ma ormai parossistico nel nostro confuso tempo: perché a ogni mutamento socio-economico le cose quotidiane per la gente peggiorano ? Tradotto: perché il green sta cominciando a costarci ancor prima di essere anche solo pensato un minimo seriamente ?
Negli anni della serietà si leggevano le cose seguenti. Sul finire del secolo scorso nel mondo si contavano circa 500 milioni automobili, di cui quasi 150 negli Stati Uniti; aggiungi i camion, i bus, le locomotive a motore fossile, e aerei, e navi, tutto a petrolio. Gradatamente su questi numeri è via via calata la nebbia. Non ci sono. Con un barile di petrolio si guida una macchina per 300 km poi un autotreno per 70, gas liquefatto per una dozzina di refill da campeggio, 70 kwh di elettricità, 4 litri di catrame, 170 candeline della torta, 27 matite, un litro di olio per motore, e ancora avanza. Alla metà dell’Ottocento tre quarti di tutto questo (o equivalente) venivano dal legno: il petrolio ci ha salvato l’ossigeno, sfruttando le foreste di milioni di anni fa e non quelle di oggi.
Se è vero che furono Daimler e Benz a realizzare il primo veicolo a motore a combustione interna nel 1885, furono inglesi e americani a dispiegare il petrolio come propulsore del nostro tempo. Molti si chiedono quanto petrolio vada a finire in un byte di informatica. Pochi si chiedono quanto ne sia finito nelle vittorie militari della prima e soprattutto della seconda guerra mondiale. Quanto sterminio nazista evitato dalla causa alleata che, come qualcuno disse, aveva vinto sospinta da una wave of oil. E più prosaicamente, quanto ha contribuito il petrolio a destagionalizzare le produzioni industriali e a realizzare le economie di scala di tutti i settori ?
Saltiamo a piè pari tutte le questioni legate alla geopolitica medio-orientale (celebre la frase di Golda Meir: Dio ha portato Mosè nel deserto per quarant’anni fermandolo nell’unico fazzoletto dove non c’è una goccia di petrolio), al colonialismo, al catastrofismo di chi ha cominciato a proclamare il picco dell’estrazione ai primi anni 70, salvo spostarlo via via, salvo smettere di parlarne: per folle che possa apparire, oggi sono questioni secondarie. Ragioniamo invece in termini di entropia: viene oggi comunemente evocata quale misura del disordine indotto e non reversibile. L’energia si conserva, l’entropia solo aumenta. L’aumento di temperatura della Terra nasce dall’effetto-serra, che si assume stabile per 10,000 anni precedenti la rivoluzione industriale, dopodichè si impenna e si stima che nei due secoli dal 1750 al 1950 sia cresciuto del 31% in emissioni CO2. Ma il metano (CH4) sembra cresciuto del 150% in pari tempo: molto metano viene dalle profondità oceaniche e risale nell’indifferenza generale a dare il suo apporto all’effetto serra. Mettiamo qualche tassa per bloccare anche quello ? Entropia è dunque l’inserzione di altri fenomeni estranei a quello che stiamo analizzando, nella fattispecie le emissioni di CO2.
L’ultima stima seria che prendo in considerazione è quella vecchia dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change): +2.5° C di riscaldamento medio al 2100. Se la temperatura in Groenlandia salisse oltre i 3° C. quello sarebbe il primo indizio di meltdown imminente esteso poi alla calotta artica. Ovviamente, questo ipotizzando che il fenomeno sia lineare e costante (non dimostrabile: ragiono sui carotaggi del passato non su quelli del futuro che non ho) e che il fenomeno avvenga in minimo aumento di entropia, cioè che quasi non vi sia disordine (in altre parole: il buon Dio decide di sciogliere la Groenlandia e non si perde in altri fenomeni collaterali, che ne so dieci bianchi Natali di quelli di una volta).
L’idrogeno (H2) è l’elemento più abbondante nell’universo, conta per il 75%, a quel che si sa oggi. E’ dappertutto sulla Terra, ha il solo difetto, rispetto alla decarbonizzazione, di donare quattro atomi alla molecola del metano. Scoperto da Cavendish nel 1776, lanciato (e poi ritirato in tutta fretta …) come combustibile dello Zeppelin, oggi se ne producono cica 500 miliardi di m3 annui. Le celle combustibili a idrogeno salirono agli onori della cronaca negli anni 60, quando la NASA le scelse per la missione lunare. Funzionano con l’elettrolisi e producono come scarto vapore acqueo. Divengono molto interessanti quando dal fisso e mastodontico (centrali di potenza) passano al domestico (generazione ditribuita) e al mobile (motori elettrici e ibridi). Sul finire degli anni 90, Daimler-Benz (con Ford) e Toyota hanno investito fortemente sulle celle. I trasporti negli USA contano per oltre il 50% del petrolio consumato e l’apporto in CO2 da questo settore, mondialmente, non è inferiore al 17%.
Spero che sia chiaro che i 20 / 20 / 20, le sparate norvegesi e quant’altro sono, nella migliore delle ipotesi, tentativi di bruciarsi le navi alle spalle: proclamo, quindi esisto, e poi in qualche modo farò. Prego? Farà qualcun altro perché io sarò in qualche merchant bank a scommettere sui cavalli della tecnologia e del fintech, la garrota del nostro secolo.
Con i pedi per terra, una infrastruttura end to end per produzione e commercializzazione all’ingrosso dell’idrogeno in USA costerebbe sui 100 miliardi di dollari. Tant’è che si è ipotizzato un approccio graduale, iniziando con il reforming a bordo veicolo di metanolo e benzina (poi qualcuno si ricorderà che tutto il Nord del Brasile è un unico, immenso serbatoio di metanolo da canna da zucchero: eppure, anche là dove vent’anni fa regnava quell’odore dolciastro del metanolo dei VW detti per assonanza Fusca oggi ci sono i motori flex ad alcol e gasolina comum). Come sempre in questi casi, intervenne Amory Lovins, testa d’uovo delle energie dolci (con quel nome …) suggerendo la creazione di stazioni domestiche e stradali per il rifornimento di idrogeno. Trascurando forse il grande problema del dispendio energetico, dell’inquinamento nell’estrazione dell’idrogeno dagli shale gas imprigionati negli scisti.
Insomma, una partita difficile, giocata sul centesimo, ma una partita seria. Attendiamo invece qualche lume su dove andare con le batterie, con i metalli rari dalle miniere sudafricane, con il nuovo nucleare, con le rinnovabili e con la decrescita felice soprattutto.
Intanto buone elezioni.