CITTADINI & UTENTI

Anche l’Agenzia delle Entrate cerca la “scusa” della privacy

Secondo l'Agenzia delle Entrate risiede nella tutela della privacy un elemento che ha impedito di contrastare oltre un miliardo di euro di fatture false

Ricordate i negazionisti della privacy? Ultimamente hanno fatto più clamore quanti provengono dal mondo della medicina più per numero e rumore, ma in fondo indicare la normativa in materia di protezione dei dati personali come un ostacolo o una scusante per le proprie mancanze è una prassi già ampiamente nota all’interno della Pubblica Amministrazione. È stato proprio partendo da tale serie di presupposti che è stata attuata la “riforma” contenuta nel Decreto Capienze, che ha di fatto depauperato il Garante di alcuni poteri e soprattutto esteso in modo abnorme la base giuridica dell’interesse pubblico.

Torna a far parlare di sé a tal riguardo l’Agenzia delle Entrate, con il Direttore Ruffini che in un’intervista ha ben ritenuto di indicare – in modo più o meno chiaro – che giace proprio nella tutela della privacy un elemento che ha impedito di contrastare oltre un miliardo di euro di fatture false collegate al superbonus 110%. 

Eppure, stando alle parole dello stesso Direttore “l’agenzia delle entrate ha a disposizione tutti i dati della fatturazione elettronica”, ma il problema sembra riguardare il mancato accesso generalizzato ai conti correnti. Insomma: per colpa della tutela della privacy del contribuente, questi può vedersi controllato solo nell’ipotesi “in cui ci sono profili di rischio o indici di evasione fiscale, vale a dire in caso di accertamento”. In estrema sintesi, secondo questa ricostruzione il contrasto all’evasione in modo pieno può avvenire esclusivamente prevedendo un monitoraggio persistente e continuo del contribuente.

Volendo badare ai fatti, però, c’è un problema di fondo che, come la lettera rubata di Poe, si trova nascosta in prima vista: la totale assenza di un’assunzione di responsabilità istituzionale. O a monte per l’evidente mancanza di una corretta progettazione del superbonus 110% al fine di evitare i prevedibili abusi, o altrimenti per la mancanza di una filiera di controlli a valle. Il costo per questa inefficienza è proprio quell’importo di oltre un miliardo di euro che si vorrebbe imputare invece alla tutela della privacy.

Oramai lo specchio di una poco corretta cultura della protezione dei dati personali è quotidianamente offerto dal Paese, e andando indietro di qualche anno si era già affrontata la tematica della lotta all’evasione fiscale dal precedente Garante Privacy il quale aveva emblematicamente espresso quanto segue: “Non siamo piantatori di paletti. Lavoriamo per difendere i cittadini. Se gli algoritmi dell’Agenzie delle Entrate sono alimentati di dati veri, le persone perbene sono al sicuro. Altrimenti si perseguitano solo i giusti. Troppo spesso, purtroppo, si considerano i diritti un costo troppo alto da pagare, e le garanzie democratiche degli arnesi del passato, perfino pericolosi. Ma non è così”. Corsi e ricorsi storico-istituzionali, con pericolose derive culturali e giuridiche che si ripresentano e che oggi, con una perpetua emergenza dichiarata, rischiano ancor più di gravare su alcune libertà fondamentali di tutti i cittadini. Con quiescente accettazione o, ancor peggio, con gli applausi che spesso accompagnano la più manifesta ingiustizia.

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