CITTADINI & UTENTI

Revenge-porn: la cultura digitale non basta

E’ necessario intervenire sulla cultura del consenso

Il Garante Privacy ha dedicato una sezione del proprio sito istituzionale alla tematica del revenge porn, fortunatamente stanno emergendo molte campagne informative e alcune associazioni provvedono anche a fornire una tutela effettiva alle vittime anche attraverso soluzioni tecnologiche. La sinergia fra l’offerta di mezzi tecnologici, servizi di tutela e supporto per le vittime rappresentano uno strumento utile se non addirittura fondamentale per una tutela effettiva, ma possono rappresentare al più un rimedio o un deterrente.

Anche un serio programma di intervento diretto ad aumentare la cultura digitale del Paese può giovare a prevenire questo tipo di fenomeno, ma non è né sarà mai sufficiente se non è possibile parlare liberamente di sessualità. Insomma: deve essere chiaro che la sessualità si è evoluta e si evolve anche nella società digitale, ed è perfettamente naturale che possa trovare un’espressione anche mediante l’invio e la condivisione di contenuti pornografici nei confronti di destinatari selezionati. Destinatari che non sono liberi di svolgere alcuna ricondivisione né tantomeno diffusione, e che anzi devono rispettare la volontà di chi ha inviato i propri contenuti. E a richiesta, devono provvedere alla cancellazione degli stessi.

Tanto premesso, è necessario intervenire su una corretta cultura del consenso, andandone a precisare i vincoli e i limiti che comporta il suo esercizio e la sua revoca. A maggior ragione occorre chiarire il valore del rispetto della consensualità nel momento in cui l’ambito riguarda il corretto impiego di strumenti che per loro natura possono comportare un’ampia diffusione della propria immagine e contenuti sessualmente espliciti, in quanto potenzialmente idonei a produrre un danno materiale ed immateriale particolarmente significativo.

Se però questo tipo di condotte e pratiche sessuali non vengono normalizzate non ci può essere alcuna tutela effettiva dagli abusi subiti in quanto vengono inevitabilmente attratte delle discriminazioni più o meno occulte. Fra queste, ad esempio, c’è tutta la serie di quei pregiudizi che portano al c.d. victim-blaming, ovverosia quel velenoso pensiero secondo cui nel migliore dei casi la vittima è stata imprudente e nel peggiore porta a quel “dopotutto se l’è cercata”. Qui l’effetto negativo si realizza su più fronti: maggiore pressione sociale che impedisce a chi dovrebbe far valere i propri diritti a procedere con una denuncia, aumento dell’efficacia della leva della minaccia e dell’impatto della diffusione. Insomma: si profilano scenari tutt’altro che desiderabili.

Quando intervenire? Certamente partendo già dai programmi di educazione sessuale all’interno delle scuole che devono mantenersi aggiornati in tal senso, ricercando quel delicato equilibrio fra libertà e prudenza che porta alla normalizzazione dell’espressione della propria sessualità ed evita polarizzazioni. Dunque, nel quotidiano, superando pregiudizi e resistenze nei confronti di quella che non è nient’altro che una forma di libera espressione di sessualità consensuale.

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