CITTADINI & UTENTI

Forme non conformi. E forme di lotta.

Una volta la guerra era tra Parmigiano Reggiano e Grana Padano.

Sta facendo un po’ rumore lo spot del Parmigiano Reggiano realizzato recentemente dal regista Paolo Genovese.

Il brand (che, lo ricordiamo, non è un’azienda, ma un marchio di consorzio – poi spieghiamo come funziona) non è nuovo a campagne pubblicitarie diciamo “innovative”, ma finora si poteva discutere sul gradimento del messaggio o della rappresentazione, come per quasi tutte le comunicazioni pubblicitarie.

In questo caso, invece, siamo arrivati a minacce, insulti, sollevazioni da “lotta di classe”. Sul link Youtube il brand ha dovuto bloccare i commenti al video.

Il motivo: nello spot della discordia, viene sceneggiata una sorta di visita in caseificio da parte di alcuni giovani, che, accompagnati da una “guida”, osservano uno dei casari al lavoro, mentre estrae la massa dal calderone di rame per la preparazione del formaggio.

Il testo recita: “Nel Parmigiano Reggiano c’è solo latte, sale e caglio. Nient’altro. Nel siero ci sono i batteri lattici. L’unico additivo è Renatino, che lavora qui da quando aveva 18 anni, tutti i giorni. 365 giorni l’anno“. E prosegue: “Ma davvero lavori 365 giorni l’anno e sei felice?” chiede stupita una ragazza e il casaro ‘Renatino’ risponde: ““.

Apriti cielo: i biechi sfruttatori dei lavoratori, 365 giorni all’anno di lavoro, e via di questo passo.

Messaggi di insulti e disdoro sono anche arrivati in quantità a Stefano Fresi, l’attore che interpreta la “guida” dello spot. Anch’egli basito per la reazione della rete, che non si aspettava. Una pubblicità “si può dire che è brutta, che è bella, ma non farne una lotta di classe, di politica, di diritto del lavoro, di sfruttamento dei lavoratori, perché non è un documentario, è una finzione. Non credo siano stati fatti dei torti ai lavoratori facendo questo spot pubblicitario”, dice Fresi in un’intervista.

Il Consorzio Parmigiano Reggiano, visto il polverone sollevato, ha dichiarato, altrettanto meravigliato, che i sequel della campagna marketing faranno “marcia indietro”: nessuno si aspettava un rumore simile, soprattutto la produzione, e soprattutto per un brand talmente radicato nel cuore degli Italiani da poter sembrare immune da qualsiasi critica.

Parmigiano Reggiano è in realtà un marchio consortile, indica cioè che non c’è una “fabbrica del Parmigiano”: il prodotto è il risultato di una sistema di produzione diffusa, anche di pochissimi pezzi, conferiti al Cosorzio che cura scrupolosamente il disciplinare di produzione e l’intera filiera, che è tramandata da moltissime “microaziende” a conduzione familiare, come da realtà più strutturate.

Il marchio del Consorzio, formalmente indipendente, un po’ come “Fontina della Valle d’Aosta”, è stato – nella sostanza – acquisito qualche anno fa dalla francese Lactalis, che ha incorporato la “Nuova Castelli”, realtà reggiana che produce industrialmente il Parmigiano con particolare proiezione, con i suoi 16 stabilimenti (13 in Italia e 3 oltralpe) al mercato estero.

Qulche giorno fa mi è stato segnalato un tweet sull’argomento. A cinguettare è Lorenzo Campani da Reggio Emilia (@lorenzcamp) che prova a chiarire la situazione, spiegando che “Renatino” non esiste, ma che esiste “Fabrizio”, è davvero un casaro “familiare”, ha una vita dura, ma il mare l’ha visto, e non è uno schiavo.

Quindi mi scoprite oggi la vita tosta dei casari del #ParmigianoReggiano ? Meno tosta di un tempo vi devo dire. Se volete ne parliamo eh.

Comunque volevo rassicurare che nella realtà Renatino alias Fabrizio fa davvero il casaro, sta bene e un po’ la vita se la gode eh. #ParmigianoReggiano

(E’ lunga). Per prima cosa c’è da dire che io con il #ParmigianoReggiano c’ho un conflitto d’interesse, che per quelli nati come me in questo fazzoletto di terra qui, il Parmigiano è uno di famiglia che ti ritrovi in casa, tra i piedi ed in tavola da quando sei cinno.

E a quelli di famiglia gli vuoi bene, ma gli devi anche dire le cose come stanno. La lunga rèclame di Paolo Genovese sul Parmigiano è brutta, ma non c’entra granché Renatino. E’ un prodotto venuto male. Pace.

È che il Consorzio (sì perché non c’è “la grande fabbrica del Parmigiano Reggiano” ma una serie di produttori sparsi) sente parecchio la concorrenza con al còs, al bagài, al Grana Padano ecco. E cerca di stare al passo con i tempi e le tendenze del mercato. Pace anche qui.

Vi volevo poi anche dire che Renato si chiama Fabrizio, fa il casaro in un’azienda a conduzione familiare e il mare l’ha visto. Parigi non so. Se è felice lo sa lui. Se comunque cercate lo sfruttamento capitalista nei caselli del Parmigiano secondo me sbagliate indirizzo.

Son posti dove si lavora duro, soprattutto nei caseifici piccolini dove si fa tutto in famiglia, dove il tempo libero è poco, ma il reddito buono e l’orgoglio di fare qualcosa per bene non manca. Alla fine però, per farvi capire davvero, vi volevo poi raccontare una storia.

E se non fosse un storia emiliana e reggiana la potrebbero aver scritta ad Hollywood. E’ una storia di guerra e, a suo modo, è una grande storia d’amore.

E qui attacca una storia di “storia locale” (si chiamerebbe), di quelle che non trovi sui libri, a volte nemmeno di storici del posto, e che probabilmente si tramanda come leggenda. Però bella, vera o romanzata che sia. Ho provato a cercare riferimenti a date e luoghi, ma non ne ho trovato traccia in rete. Peccato non poter sentire direttamente il racconto di qualche testimone, o di chi ha conservato il ricordo diretto dell’evento.

Eccoci dunque:

Domenica 17 dicembre ’44, 7 del mattino, ai piedi delle colline reggiane. 

  • Papà, papà. 
  • Sa gh’é da sbrajèr con quel freddo qui. 
  • Viene a vedere ! 
  • Sa vōt ? 
  • Vieni a vedere dietro la quercia. 
  • E che ci sarà mai dietro la quercia da urlare tanto, un carrarmato? 
  • Meglio papà, meglio.

Nella notte tra il 16 e 17 dicembre del ’44, in 10 ore, una cinquantina di membri della 76^ brigata Sap sottrassero dai magazzini Locatelli a Bibbiano quasi 3.000 delle 4.000 forme di Parmigiano (anni 1941-43) destinate ad essere requisite per essere trasferite in Germania 

Non si riuscì a portarle via proprio tutte per colpa di un guasto ad un camion in uno dei 50 viaggi di quella notte. Nell’azione nessuno rimase ferito. Circa 700 forme furono trasferite in montagna, le altre distribuite a migliaia di famiglie dei paesi vicini. 

In quel gelido, difficile inverno del ’44 molti trovarono una bella sorpresa. Qualcuno anche sotto un albero. Ad ideare e comandare la spettacolare operazione furono Bruno Veneziani (Oddone) e il suo comandante Paride Allegri. Partigiano, ambientalista e pacifista reggiano. 

Questa è una storia di guerra e, a suo modo, è una grande storia d’amore. Amore per la propria terra, per la propria comunità e per la vita.

Bella storia. “Renatino” può esserne fiero, altroché.

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