
Nei primi stadi di evoluzione, i robot erano solamente forme meccaniche piuttosto semplici, normalmente abilitate ad effettuare in maniera ripetitiva la stessa funzione senza sosta. Le prime applicazioni dei robot sono state infatti di tipo industriale, ambito nel quale il lavoro umano è soggetto ad errori, imprecisioni, stanchezza, mancanza di efficienza nei movimenti, come sottolineato per la prima volta da Frederick Taylor nel suo studio L’organizzazione scientifica del lavoro diversi decenni fa.
I robot hanno trasformato le condizioni delle primordiali linee di produzione, consentendo una meccanizzazione sempre più spinta, in cui la presenza umana è richiesta solamente in alcuni passi decisionali fondamentali, o è praticamente assente come, ad esempio, negli stabilimenti ad altissima tecnologia di Tesla.
Lasciati i contesti industriali, i robot stanno negli ultimi anni cercando di conquistarsi uno spazio ed un ruolo sempre più grandi all’interno delle nostre vite. Come gli scrittori di fantascienza ci hanno narrato fin dai primi anni 50 del ventesimo secolo, l’obiettivo aspirazionale del settore della robotica è quello di arrivare a costruire dei veri e propri organismi cibernetici, che per forma, aspetto, capacità e funzioni siano indistinguibili ed interoperabili con l’uomo.
La comparsa di tali organismi sintetici pone tutta una serie di interrogativi ed i problemi che impattano sulla sfera psicologica e sociale dell’umanità. La transizione dell’uomo da essere vivente capace di adoperare strumenti a organismo biologico attorniato da strumenti autonomi che ne soddisfano i desideri e lo sollevano dall’imperativo del lavoro finalizzato alla sopravvivenza, solleva domande di ordine morale e filosofico circa quale sarà nel breve volgere di pochi decenni il fine dell’umanità.
La scomparsa del lavoro fisico o ripetitivo, la sostituzione in tutti gli ambiti dove sia necessaria memoria, capacità di calcolo, interpretazione dell’ambiente circostante e delle situazioni ad esso connesse, e persino creatività, lascerà l’uomo davanti alla necessità di ripensare profondamente sé stesso e trovare nuovi orizzonti da esplorare. Oppure, all’estremo opposto, regredire in un’eterna adolescenza piena di vizi e di noia, in cui l’unico fine sia quello di ricercare una sempre più effimera soddisfazione temporanea degli impulsi.
La traiettoria verso il momento in cui avremo dei robot funzionalmente e fisicamente indistinguibili da un umano potenziato è in enorme accelerazione. Solo un anno fa avevamo assistito divertiti alla danza dei robots di Boston Dynamics in una riuscitissima reprise di Do you love me? E più avanti abbiamo prima salutato l’ingresso di Tesla nel campo della robotica, e quindi osservato la comparsa di arti robotici con un funzionamento molto simile a quello umano. È evidente anche ad un osservatore distratto che tutte queste parti e capacità funzionali stiano idealmente convergendo verso la realizzazione di un organismo cibernetico unico.
Ma la nuova e finale frontiera della singolarità robotica è l’acquisizione di capacità espressive comparabili a quelle umane, così che l’interazione con la nostra specie possa diventare ricca e stimolante.
A colmare questo gap arriva la britannica Engineered Arts, che ha da poco presentato un androide denominato Ameca, dotato di straordinarie capacità ed espressioni facciali, del tutto sovrapponibili a quelle umane.
Secondo i progettisti, Ameca è il risultato di oltre quindici anni di gestazione tecnologica, che hanno prodotto un robot umanoide la cui parte superiore – tronco, braccia, mani e soprattutto volto – è pienamente funzionale. L’androide non è ancora capace di stare in piedi o di camminare – quello dell’equilibrio statico e dinamico è forse il problema più complesso da affrontare in robotica – ma per il resto è straordinariamente funzionale e credibile. Le capacità, e soprattutto l’aspetto di Ameca, a solo dodici mesi dalla danza dei robot di Boston Dynamics, fanno sembrare questi ultimi dei brutti cosi industriali, delle Ford T a confronto con una moderna Ferrari.
La comparsa di robots con questo livello di capacità espressive apre delle incredibili opportunità di impiego in tutti i lavori dove una capacità empatica, ancorché simulata, sia fondamentale. Un esempio importante è costituito dall’impiego infermieristico, in particolare nell’assistenza di individui non autosufficienti. Con l’allungamento progressivo della vita, sempre più persone si troveranno nella condizione di dover ricevere assistenza ventiquattr’ore al giorno. Assistenza non solo medica, ma anche e soprattutto sostegno psicologico e possibilità di interazione.
Un robot badante ed infermiere, magari costruito con le fattezze familiari di qualche caro ormai scomparso, potrebbe essere in futuro una presenza comune non solo negli ospedali o nelle residenze per anziani. Anzi, potrebbe servire a chiudere definitivamente questo tipo di strutture, lasciando il posto ad un’assistenza robotica, magari con il cuore di silicio, ma con un tratto umano.