
Ricordo che nel 1981 uscì un libro di enigmi e giochi matematici dal titolo molto intrigante “Qual è il titolo di questo libro?”, scritto da Raymond Smullyan, un noto matematico del XX secolo. Questo libro era una raccolta di oltre 200 tra rompicapi, giochi matematici e paradossi. In particolare alcuni di questi creavano un ciclo infinito di supposizioni che si contraddicevano tra loro. Un’affermazione poteva essere vera o falsa allo stesso tempo e le soluzioni erano basate proprio sulla verità e sulla falsità delle affermazioni, per cui, sulla base di questi equivoci, una proposizione poteva essere contemporaneamente vera e falsa.
Qualche giorno fa leggendo la notizia di un matrimonio di una signora brasiliana che si era sposata con sé stessa, la memoria è corsa inevitabilmente a questo libro, per una serie di considerazioni legate al fatto che si è creata una situazione analoga.
Ci tengo qui anche a precisare che non sono un giurista, ma la vita da informatico mi ha necessariamente portato ad usare più o meno (secondo i miei detrattori meno) la logica, mentre oggi, sempre secondo i miei detrattori mi sono ridotto ad un mono-neurone ad intermitt… (mannaggia, si è spento sul più bello!).
Premetto che sono rimasto molto colpito da questa notizia, perché ignoravo l’esistenza dell’auto matrimonio (si chiama così?). Certo il rito del matrimonio negli anni ha subito delle evoluzioni: ad esempio in Giappone qualche anno fa è stato celebrato il primo matrimonio tra robot. Avevo letto poi anche della proposta di legge di un deputato italiano che auspicava il matrimonio di gruppo e quello tra specie diverse, purché consenzienti (fermo restando che, in questo caso, mi assale il dubbio atroce di come si possa acquisire il consenso tra specie diverse). Di un matrimonio con sé stessi, ammetto la mia ignoranza, non ne avevo mai sentito parlare prima. D’altro canto l’etimologia della parola coniuge proviene dal latino coniux e dal verbo congiungere e quindi presupporrebbe l’esistenza di (almeno!) due elementi.
Invece questo auto-matrimonio (ma è corretto chiamarlo così?), che si chiama sologamia, è permesso in alcune Nazioni tra cui il Brasile. Pertanto la Sig.ra (il titolo in questo caso non solo è d’obbligo, ma è anche doppio!) Cristiane Galera (che noi chiameremo confidenzialmente Cris), una giovane modella ed influencer di 33 anni, ha sfruttato questa possibilità e si è sposata con sé stessa. Pare che abbia anche celebrato lei stessa le nozze (e visto che si trovava avrebbe potuto fare anche il testimone e la damigella!). Quindi cerimonia nuziale secondo le più consumate tradizioni, con abito bianco, bouquet, servizio fotografico, invitati e buffet. Fin qui tutto normale (!?).
Il problema non è tanto questo, ma è che solo dopo pochi mesi di convivenza matrimoniale Cris, che era tanto innamorata di sé (si può dire che fosse innamorata di sé dalla nascita!), si è innamorata invece di un’altra persona ed ora vorrebbe divorziare da se stessa.
Credo che non si possa decidere di sposarsi con sé stessi se non si nutre un profondo senso di autostima e di amore e di cura nei confronti di se stessi. Per cui non oso pensare al profondo strazio interiore che deve aver afflitto e dilaniato il cuore della povera Cris, che dopo anni di convivenza e di innamoramento con se stessa, tanto da giungere al rito nuziale, ha preso questa sofferta decisione di non accettarsi più come coniuge e di separarsi da sé. Indubbiamente la decisione deve essere stata traumatica, ma credo non sia stata ponderata bene per gli effetti che potrebbe generare.
Non so se esista o meno la possibilità di divorzio da se stessi (come lo chiameremo auto-divorzio?), ma qui si aprono comunque scenari dalle molteplici sfaccettature e delle problematiche di non facile risoluzione. Innanzitutto, a meno di non separarsi da sé stessa, Cris sarà condannata a mesi di dura convivenza con se stessa. Infatti durante il periodo della separazione che normalmente precede il divorzio Cris dovrà viverlo necessariamente da separata in casa. Ce la farà a convivere con sé stessa, visto che non si sopporta più al punto che si vuole separare da sé stessa?
Inoltre, visto che Cris si è tradita da sola innamorandosi di un’altra persona, potrebbe chiedere a Cris il divorzio per giusta causa per il tradimento. Pertanto potrebbe porsi il problema dell’assegno di mantenimento e di divorzio. Innanzitutto Cris lo chiederà a Cris? E chi dovrà pagarlo? Secondo me è ovvio che Cris debba pagarlo a Cris. Ma non è facile dirimere la questione, qui ci vuole un buon avvocato divorzista che si prenda cura di Cris e risolva la questione. Anche la scelta del professionista non è poi così semplice ed immediata in quanto esiste inevitabilmente un conflitto di interessi: l’avvocato si troverebbe contemporaneamente a difendere sia la parte che la controparte e quindi anche questa è una situazione un po’ (solo un po’?) complicata!
Non conosco il sistema delle tasse in Brasile, ma Cris potrebbe da un lato detrarre la cifra dell’assegno pagato, e dall’altro avrebbe un incremento corrispondente del reddito imponibile. Questo porterebbe ad un assegno maggiore, che finirebbe per generare altro reddito imponibile e così via.
Un altro aspetto di non poco conto è che ora in Brasile è estate e ci sono molti fastidiosi insetti. Non oso pensare a quello che potrebbe succedere poi se Cris, per scacciare un moscerino posatosi sul volto, si desse uno schiaffo sulla fronte! Scatterebbe una denuncia per violenza? Con quali conseguenze? E se, in attesa della sentenza definitiva, il giudice addirittura decidesse per l’allontanamento di Cris da Cris, per evitare altra violenza di Cris su Cris?
A questo punto, per evitare problemi, avrei un appello accorato da rivolgere a Cris. Ma non sarebbe meglio che Cris si perdoni la scappatella, faccia pace con se stessa ed eviti i meandri inevitabili e tortuosi di un divorzio dall’esito incerto, dai costi elevati e che in ogni caso la vedrebbe, sì vincente ma anche, inevitabilmente, soccombente?
Cara Cris, la pace con se stessi è il primo paradigma per una vita tranquilla e serena. Se non si è in pace con se stessi, come lo si può essere con gli altri?
Ah, a proposito, per senso di riconoscenza nei confronti del ridottissimo manipolo di lettori (incluso i parenti stretti, che però lo fanno come atto dovuto) che ha avuto la pazienza e la perseveranza di arrivare sin qui, mi sento in dovere di rispondere al quesito su quale sia il titolo di questo articolo, in analogia a quanto fatto da Smullyan nel suo libro. La risposta è ovvia: “Qual è il titolo di questo articolo?”!