
Avevamo già sentito parlare dell’impiego del sensibile olfatto dei cani nella lotta e prevenzione di patologie tumorali ma un progetto internazionale che vede tra i partecipanti anche l’Italia, prevede l’utilizzo di cani addestrati per il riconoscimento dei segnali olfattivi indotti dal covid nei pazienti contagiati.
Sebbene il progetto sia ancora nelle sue fasi sperimentali, i risultati preliminari sono incoraggianti e nel nostro Paese a portare avanti la sperimentazione è il Medical Detection Dogs Italy, una onlus la cui missione è chiaramente spiegata nel sito web ( https://www.mddi.it/it/ ):
“Il nostro staff è composto da professionisti istruttori cinofili specializzati, medici e veterinari che credono fermamente che l’impiego dell’olfatto del cane sia non invasivo, efficace ed economico per l’assistenza ai malati (diabete, epilessia e altre malattie metaboliche), per una bio-diagnosi precoce di malattie infettive e che la metodologia debba essere conosciuta e disponibile per tutti.”
E più in particolare, a riguardo della ricerca sul covid:
“Medical Detection Dogs Italy, con la collaborazione di Università Statale di Milano (UNIMI-DIMEVET, Dipartimento di Medicina Veterinaria) e la Clinica Universitaria di Malattie infettive del dipartimento di scienze biomediche e cliniche L. Sacco, con il Prof. Massimo Galli, ha avviato un progetto di ricerca scientifica nell’impiego dell’olfatto del cane per il rilevamento di sostanze volatili (biomarcatori) emesse da campioni biologici prelevati da persone infette da agenti patogeni/COVID-19.
Ne parliamo insieme ad Aldo La Spina, direttore tecnico di M.D.D. e del progetto.

Direttore, in cosa consiste il progetto e come vi è venuto in mente di utilizzare i cani anche per il rilevamento della positività al covid-19?
Visto il successo ottenuto nell’impiego dei cani per il rilevamento delle patologie tumorali, di cui il cane è addestrato a riconoscerne gli odori delle sostanze che il corpo umano produce come reazione, è naturale pensare che esso possa essere utilizzato per rilevare gli odori anche di patologie diverse da quelle tumorali. Anche se il Covid-19 è un virus che non ha odore in sé, esso scatena comunque reazioni fisiologiche nelle persone infettate, che il cane può rilevare.
L’idea è venuta alla nostra “casa madre” in Inghilterra e M.D.D. si è subito aggregata nella ricerca sul suolo italiano.

Ci racconta qualcosa sul percorso di addestramento e sulle tipologie di cani utilizzabili in questo tipo di ricerca?
Utilizziamo cani pastore (belga e border collie) ma anche golden retriever, bassotti e un incrocio di segugio perché noi non siamo “razzisti”. Il percorso per la produzione di un cane anti covid-19 si sviluppa in tre fasi che in parte rispecchiano il percorso dei cani addestrati al rilevamento di sostanze stupefacenti.
Il primo passo prevede l’addestramento all’utilizzo dell’olfatto su campioni biologici prelevati da soggetti infetti sintomatici e non, in collaborazione con istituti di ricerca per il prelievo e Università per la conservazione e la gestione in laboratorio dei componenti necessari per contenere il campione biologico da utilizzare nell’addestramento.
Quando il cane arriva a dimostrare scientificamente un successo maggiore dell’80% (specificità e sensibilità) nel rilevamento dei positivi da campione, discriminandolo da 5 negativi, si passa alla seconda fase che prevede la preparazione e l’impiego del cane direttamente sulle persone.
Quando il cane raggiunge una percentuale di successo elevata, anche in questa fase dimostrata scientificamente, si può passare alla terza fase che è quella del dispiego di tali unità cinofile nelle zone in cui è necessario effettuare uno screening delle sospette positività, tipicamente nelle scuole, aeroporti e in tutte le aree altamente affollate.

A proposito di percentuali di successo nel rilevamento della positività al covid-19, qual è quella ottenuta tramite l’impiego dei cani?
Se propriamente addestrato, il cane riesce ad ottenere percentuali di successo anche dell’80%-90%, in ogni caso di molto superiore a quelle relative all’impiego dei tradizionali tamponi rapidi, in un tempo molto più breve e senza alcun intervento invasivo sul sospetto positivo.
E’ chiaro che questa soluzione possa essere quella ottimale per l’identificazione di sospetti positivi in situazioni molto affollate ma nelle quali non ci si può permettere di bloccare l’afflusso delle persone. Pensiamo ad esempio ad un grande aeroporto internazionale, dove è necessario effettuare lo screening di decine di migliaia di persone ogni giorno. Non è quindi un caso che i programmi pilota su prelievi di campioni, ma non ancora applicati direttamente su persone, già attivati siano negli aeroporti di Miami e Dubai.

Le faccio una domanda da illetterato scientifico: come si comporta il cane nei confronti delle persone vaccinate, magari con i vaccini non mRNA?
Il cane utilizza il fiuto per rilevare gli odori secreti dal corpo a seguito dell’infiammazione generata dall’agente patogeno, quindi è indifferente che il soggetto analizzato sia vaccinato o meno e i primi esperimenti in laboratorio con i nostri cani ci hanno dato orami la certezza di questo.
Quale innovazione ha introdotto M.D.D.I. nello specifico della ricerca anti-covid?
Sebbene oggi nel mondo ci siano ben 56 progetti analoghi al nostro nella prima fase, cioè su campioni prelevati, per addestrare il cane la nostra ricerca prevede per la prima volta l’utilizzo di specifici sniffer, che altro non sono che delle piccole scatolette contenenti un tubetto polimerico a cui è stato fatto assorbire solo l’odore del sudore ascellare proveniente da pazienti infetti sintomatici, non asintomatici e negativi. E’ dimostrato infatti che nel sudore non c’è traccia del virus, tanto meno nel suo odore o nei suoi Vocs (Volatile Organic Compound).
Contro-intuitivamente infatti, non è la mascherina di un paziente infetto il miglior mezzo per addestrare il cane perché essa tende a perdere l’odore collegato alla positività molto velocemente e soprattutto ad essere un filtro bidirezionale con le conseguenze di una possibile diversa contaminazione ed assorbimento ottenuta dal donatore. Impiegando invece nella fase 1 dell’addestramento questi tubetti polimetrici, che in sostanza agiscono da spugna assorbendo l’odore del sudore dei pazienti infetti rilasciandolo, se esposti e conservati correttamente, però per un periodo prolungato (anche sino a sei mesi), si rende l’addestramento più continuo, affidabile, veloce ed efficace e senza dover necessariamente manipolare campioni biologici infetti.

Quanti cani impiegate attualmente presso M.D.D.I.?
Attualmente per la ricerca anti-covid ne abbiamo otto: quattro per la ricerca in laboratorio per la 1° fase e quattro per la segnalazione direttamente su persone per la 2° fase. Siamo poi in fase di selezione per la preparazione operativa dei primi cani da impiegare nelle realtà operative
Di quali aiuti concreti avreste bisogno per portare la vostra ricerca dalla fase sperimentale all’impiego concreto dei cani nella prevenzione dei contagi covid-19?
Di due cose: di una maggiore sensibilità da parte delle autorità politiche e in particolare sanitarie verso queste soluzioni complementari ma fondamentali per la prevenzione e il contenimento del contagio a quelle attualmente impiegate e di capitali per continuare a finanziare il progetto.
Le unità cinofile operative potranno in un futuro essere impiegate anche per riconoscere preventivamente altri virus o batteri che dovessero propagarsi si spera in una epidemia e non pandemia. Il metodo verrà dimostrato scientificamente, per essere divulgato ed accettato dalla comunità scientifica.
Sul nostro sito c’è un’apposita pagina per la raccolta delle donazioni di coloro sensibili al tema e al progetto. (http://www.mddi.it/it/featured/come-donare/)