
A differenza del Direttore Rapetto ho frequentato il liceo scientifico sperimentale PNI (Piano Nazionale per l’Informatica), e dunque nulla di ciò che dico potrà apparire come la “difesa” di un mio cursus studiorum. Per tale motivo ho la possibilità di approfondire alcuni spunti offerti dall’editoriale dedicato alle affermazioni del ministro Cingolani senza che nessuno mi potrà dire di avere una posizione di parte.
Se devo essere sincero mi ha anzi sempre dato un po’ di fastidio la strenua difesa del liceo classico come unica scuola in grado di fornire una forma mentis. Perché, alla pari di ogni altra occasione e percorso di studi, è solo uno strumento o un acceleratore tendenzialmente neutrale. Se all’accesso si ha natura di scemo indomito ed impermeabile ad alcun cambiamento, si può solo aspirare a continuare ad essere scemo ma con qualche nozione in più e qualche storia da raccontare.
Ciò che piuttosto si dovrebbe affrontare invece riguarda il discorso del metodo che viene trasmesso con lo studio, che è il substrato su cui la cultura può germogliare. Ma qui ovviamente significherebbe essere in grado di individuare responsabilità, superare inutili manierismi e tutto ciò che invece fa prosperare (un malevolo direbbe: fa campare) quei sistemi gattopardiani ed autoreferenziali cui siamo purtroppo abituati.
Ma i fatti parlano chiaro. Non è forse vero che molti giovani fuggono dall’IT? O che nel digitale è quanto mai diffuso un caporalato fondato – nel pubblico e nel privato – su promesse mal mantenute di chissà quali future opportunità? Queste e le ulteriori distorsioni non sono però mai state affrontate, nonostante siano evidenti e quotidiane. O forse oramai sono entrate nel limbo della rassegnazione, dove l’eco è “tanto si deve far gavetta” e suona tanto più odioso quanto più chi lo pronuncia lo fa innalzandosi su un podio di ipocrisia?
A che serve infatti formare i giovani per le professioni del futuro se il sistema Paese non offre condizioni retributive e di vita dignitose? All’ennesima fuga di cervelli, o ad alimentare la frustrazione di chi non può allontanarsi. Peccato che le teste depensanti invece siano attratte e vadano a comporre legioni di yespeople tanto comodi per un facile voto di scambio, per le organizzazioni e quali novelli schiavi delle traballanti impalcature digitali sorrette dalla forza di una continua narrazione.
Se non si ha il coraggio di analizzare il percorso che ha condotto a tutta quella serie di fallimenti cui assistiamo nonostante la profusione di entusiasmi e sforzi di digitalizzazione, con una sana (auto)critica di metodo e di sistema, ogni intervento sarà probabilmente destinato a naufragare assieme a molti altri migliori intenti irrealizzati.
È indubbio che le occasioni di formazione tecnica le occasioni e i percorsi di formazione tecnica possano portare giovamento tanto al presente quanto al futuro dei moltissimi giovani che sono nati e si troveranno sempre più immersi nella digitalità. Ma tutto ciò si rivela essere – e lo voglio dire con un linguaggio “tecnico” – una condizione necessaria ma non sufficiente.