
Uno, due, tre…stella. Questa sembra essere diventata la partita del clima, quella di un gioco, recentemente riportato alla celebrità grazie alla nota serie televisiva, in cui vince chi sta fermo.
Il recente summit a Glasgow, vestito di un ennesimo Patto Climatico, ha invitato i governi a rivedersi il prossimo anno per presentare piani nazionali più ambiziosi al fine di ridurre le emissioni al 2030, con l’indirizzo di diminuire le emissioni CO2 del 45 % nel prossimo decennio.
Chiaro no ?
Esattamente 7 anni fa veniva sottoscritto lo ‘’storico’’ accordo sul clima, a Parigi in questo caso, con innumerevoli protocolli di intesa, con snocciolamento di indicatori di emissioni da raggiungere e perché no le sigle del restyling del momento come la CPI la Climate Policy Initiave.
Alla fine del Summit di Parigi 2015 rimbombano gli spot dei leader europei del momento ‘’Oggi è un giorno di cui essere fieri’’ , ‘’Nel corso dei negoziati abbiamo svolto con successo un ruolo di mediazione’’ (Eh?) e ancora ‘’Non dimentichiamo che Parigi è solo l’inizio di un lungo viaggio ’’, appunto uno, due, tre …stella.
Potrei continuare con il cursore temporale, arrivando all’incontro storico per antonomasia, chi non lo ricorda Kyoto 1997, poi entrato in vigore nel 2005 ….che morse il gatto che si mangiò il topo… per cadere ancora di più nella profonda consapevolezza di come ci si sia davvero dedicati ad evitare quello che è accaduto, sta accadendo e ahimè ancora ci aspetta sulle sorti del nostro pianeta.
Resta di fatto poco chiara la questione di chi dovrà provvedere ai tagli e come questo dovrà essere fatto a favore di risorse economiche per i paesi più poveri che subiscono maggiormente gli effetti del cambiamento climatico.
I Paesi in via di sviluppo sono sprovvisti di fondi indispensabili per il passaggio a fonti energetiche ‘’pulite’’ o ‘’green’’ per restare in ambito dei termini maggiormente usati.
La cosiddetta finanza climatica, al di là del pieno consenso, è di fatto sprovvista di certezze senza programmi di energia rinnovabile per i Paesi più poveri sia per la riduzione delle emissioni, sia per l’adattamento, per dirla in parole povere il COP 26 ha avuto solo il risultato di essere l’ennesimo ‘’invito’’ al fallimento di una via di uscita a migliorare il pianeta.
La fotografia di oggi ci dice che il 50% delle emissioni arrivano da paesi come Stati Uniti, Canada, Giappone ed Europa Occidentale che d’altro canto costituiscono solo il 12% della popolazione ed il resto vive in una situazione di reale incuranza e disinteresse per mettere in atto la transizione verso le risorse rinnovabili.
A guardar bene però il primo episodio concreto dopo COP 26 è stato l’incontro top secret tra Joe Biden e Xi Jinping, in video conferenza come per dire, alla Greta Thunberg, il bla bla bla verso chi poi decide veramente e -al di là dell’impegno reciproco a lavorare insieme per limitare il ‘’climate change’’ -si è visto solo il preludio al tatticismo su altre questioni di più interesse specifico in cui è chiara la non volontà a muoversi verso il ‘’There is no a Planet B’’.