
Che Facebook non sia immune alle critiche è un fatto oramai assodato, la mega-corporation che comprende le aziende Facebook, Whatsapp, Instagram ma anche una galassia di altre 73 aziende, è da anni sotto il tiro delle feroci critiche che le sono state rivolte per quelli che sono gli evidenti effetti nefasti prodotti dagli algoritmi utilizzati per selezionare i contenuti da mostrare agli utenti e più di una volta il suo creatore Mark Zuckerberg si è trovato a dover rispondere alle domande scomode dei politici americani.
Fino ad oggi il miliardario fondatore del social network più controverso del mondo se l’era cavata con una serie di acrobazie verbali che gli hanno sempre consentito di rispondere senza rispondere o, nei casi in cui non fosse stato possibile esibire i suoi virtuosismi oratori perché il politico di turno si rifiutava di accettare risposte fumose, rimandando la risposta ad un momento successivo, senza mai però dar seguito alla promessa di chiarimento.
E’ normale che la dimensione odierna raggiunta da Facebook, dopo aver speso 23 miliardi di dollari in acquisizioni di società strumentali alla sua crescita oppure concorrenti da dover poi smantellare, concorra ad aggiungere pressione su Zuckerberg introducendo possibili interventi in materia anti-trust. Questi ultimi, si aggiungono alla serie di precedenti rogne collegate alle questioni delle censure, agli algoritmi utilizzati nonché al mercimonio dei dati degli utenti.

Come se tutto ciò non bastasse, un nuovo bubbone sta per levare il sonno a Zuckerberg dopo che Frances Haugen, un’ex-impiegata di Facebook, ha consegnato al Congresso americano e alla Securities and Exchange Commission una serie di incartamenti che ne denunciano le cattive abitudini aziendali, si parla di decine di migliaia di pagine che l’impiegata aveva scrupolosamente copiato e archiviato ad uso personale.
Questi incartamenti sono tali e tanti che i media americani hanno dovuto creare una task-force tra 17 testate giornalistiche per poterli analizzare a fondo.
Da una prima analisi delle carte si evince che Facebook avrebbe ripetutamente mentito al pubblico e agli investitori in relazione al suo ruolo nella diffusione di contenuti disinformativi e violenti, soprattutto collegati all’insurrezione del 6 gennaio 2021. A ciò si aggiungono le accuse che Facebook volontariamente non abbia arginato la disinformazione in specifici paesi “caldi” quali Myanmar, Afghanistan, India, Etiopia e altri paesi mediorientali.
Tra le altre accuse mosse, vi sono la corresponsabilità nel traffico di esseri umani per aver consentito ai trafficanti di organizzare, reclutare e ottenere vantaggi economici dalla tratta di anime mettendo a disposizione di essi strumenti per la comunicazione, anche cifrata (Whatsapp). Come dire che mentre Facebook solertemente ci bannava per qualche giorno per aver dato del pirla a qualcuno, contemporaneamente nulla faceva nei confronti delle pagine di organizzazioni terroristiche, trafficanti umani, truffatori online, ricattatori sessuali etc. etc.
Alla carrellata di accuse derivanti dalla lettura delle carte si aggiunge anche l’incitamento alla violenza in specifici paesi, l’Etiopia ad esempio, causato dalla mancanza di interventi per arginare la condivisione di fake news e commenti violenti, l’impatto negativo che i social ed in particolare Instagram avrebbe sui minori e la responsabilità diretta dell’utilizzo di determinati algoritmi al fine di causare divisioni, polarizzazioni e scontri poiché funzionali agli interessi economici della piattaforma.
Dall’analisi degli incartamenti interni a Facebook in effetti comparirebbe la consapevolezza da parte dell’azienda del fatto che i commenti negativi e aggressivi contribuissero positivamente alla fruizione della piattaforma (quindi agli incassi pubblicitari) e che di conseguenza essi fossero messi in evidenza rispetto ai contenuti neutri.
Il mondo intero rimane quindi in paziente attesa di poter assistere al prossimo interrogatorio di Zuckerberg quando verrà richiamato a testimoniare davanti al congresso, sia per farci finalmente un po’ di fatti suoi ma anche per assistere alle nuove acrobazie verbali e tattiche oratorie che il magnate/proprietario dei fatti altrui metterà in campo a difesa della sua verginità.
Un’ultima nota: non siate naif, questo nuovo attacco della politica verso Facebook è unilaterale e strumentale poiché porta il marchio dei democratici americani, riferendosi esclusivamente ai contenuti che non aderiscono al pensiero univoco e non sono altro che tentativi di forzare la cancel culture sul più grande network social del mondo.
Detto ciò, va però anche detto che ciò che Facebook ha commesso con i dati dei suoi utenti e con l’applicazione degli algoritmi selettivi è di portata galattica. Pardon, è una porcata galattica e che per questo prima o poi a Zuckerberg verrà presentato il conto.
A meno che ovviamente lo stesso non consegni le chiavi della piattaforma nelle mani dei progressisti USA.