NOVITÀ NORMATIVE

Smart Contract 101, contratti né smart né contract

Un istituto allo stadio embrionale con potenzialità nel futuro esplosive

Ci sono parole che segnano un’epoca, e che sono specchio di costumi, pensieri e abitudini.

Nel nostro tempo la parola «smart» permea ogni aspetto della nostra esistenza.

Tutto sembra, infatti, essere smart: dal telefono-phone alla TV, dalla casa-home alla auto-car.

Viviamo in una realtà «connessa» da reti ultraveloci e popolata da programmi ed applicazioni in grado di semplificare operazioni complesse, dematerializzare attività, interagire con l’uomo e, ormai si potrebbe affermare, anche di «apprendere» (machine learning)*

Ma è tutto oro ciò che luccica?

Come dovrebbe essere evidente, non tutto ciò che è smart è necessariamente intelligente e proprio il tema dei c.d. «smart contract» ne è un paradigmatico esempio posto che questo strumento non solo non è intelligente, ma non può nemmeno considerarsi un contratto nel senso tecnico del termine.

Esso, infatti, non è un accordo/agreement ed è distante anni luce dal contratto inteso come accordo/agreement disciplinato dall’art. 1321 del Codice Civile.

Lo smart contract è, infatti, un «protocollo informatico» che governa – almeno in linea teorica – in autonomia determinati accadimenti che incidono sulla relazione esistente fra due o più parti sulla base di istruzioni da esse inserite.

In secondo luogo, lo smart contract nemmeno può considerarsi intelligente nel senso tradizionale del termine. Al pari di un programma informatico, lo smart contract non è, infatti, in grado di elaborare input complessi posto che non esiste un’intelligenza artificiale avanzata al punto da interpretare condizioni e sopravvenienza come, ad esempio, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta o valutare se una condizione imposta dalle parti sia meramente potestativa o altrimenti nulla perché contraria, ad esempio, a norme di legge.

Seppure lo smart contract, sembri, e per certi aspetti lo è ancora, fantascienza esso in realtà trova già applicazioni pratiche di cui ci serviamo quotidianamente e anche una vera e propria definizione normativa.

Tutti noi ogni giorno ci serviamo dei cosiddetti self-driving contracts, come ad esempio, il RIBA bancario o l’acquisto di una bibita o uno snack a un distributore automatico.

Questi atti non sono contratti, posto che sono meri atti di esecuzione privi di ogni valenza negoziale e, men che meno, sono smart. Essi, infatti, al pari di altri programmi si eseguono secondo i classici algoritmi “if-then”:

If I – insert monetina – Then I – give you your bibita

If – today is 15 del mese – Then – I take your money from the bank account”. (Voglia il lettore perdonare l’uso voluto dell’inglese maccaronico che vuole realizzare una mera sprezzatura letteraria)

Che cosa hanno di intelligente queste operazioni? Che cosa hanno in comune con gli smart contract questi banalissimi protocolli?

A dispetto dello stato, ancora primitivo, dell’attuale tecnologia, in realtà troviamo già una definizione di smart contract nel nostro ordinamento giuridico.

Il DL 135/2018 ha, infatti, novellato il codice dell’amministrazione digitale inserendo il nuovo art. 8-ter d.l. 135/2018 rubricato “Tecnologie basate su registri distribuiti e smart contract”. Il comma 2 di questa novella stabilisce espressamente che: “Si definisce «smart contract» un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o piu’ parti  sulla  base  di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”

Molti autorevoli commentatori ed esperti hanno criticato questa novella indicandone la mancanza di utilità e consistenza.

A ben vedere, tuttavia, lo sforzo del legislatore, forse per una volta, pare essere apprezzabile posto che siamo al punto che “Il diritto dovrebbe occuparsi di intelligenza artificiale e non viceversa”.

Seppure il tema degli smart contract sia articolato e complesso e si intersechi con nuove tecnologie, come la blockchain e l’intelligenza artificiale e non possa esaurirsi in un mero articoletto divulgativo senza pretese, possiamo tracciare questi punti fermi per la materia:

  1. Gli smart contract non sono contratti.
  2. Gli smart contract non sono intelligenti.
  3. Gli smart contract non sono in grado di auto eseguirsi posto che è necessario l’intervento del cosiddetto orale, un operatore umano o meccanico per attuare la condizione.
  4. Gli smart contract non possono essere utilizzati come strumenti per stipulare contratti in forma solenne in assenza delle Linee Guida dell’Agid che ancora sono in attesa di emanazione.

Riservandoci di dare maggiore spazio a queste tematiche articolate e complesse nel futuro. In conclusione, si possono ritenere allo stato gli smart contract un istituto allo stadio embrionale con potenzialità nel futuro esplosive.

Quando l’intelligenza artificiale raggiungerà uno stadio di evoluzione più strutturato e non sarà più limitata a filtri antispam che magari inseriscono nel cestino mail utili che aspettavamo o che realizzano chatbot il cui unico scopo sembra quello di ostacolare l’utente che richiede assistenza e quando la blockchain diventerà la tecnologia principale per veicolare e registrare informazioni, allora è facile immaginarsi scenari dove gli smart contract rivoluzioneranno integralmente il mondo delle professioni legali.

*Per maggiori approfondimenti sul tema v. S.A. Cerrato “APPUNTI SU SMART CONTRACT E DIRITTO DEI CONTRATTI” in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc.3, 1 GIUGNO 2020, pag. 370

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