
Tempo di presentazione dei modelli 730 per la dichiarazione dei redditi, e insieme tempo di mal di testa per commercialisti ed utenti.
In un fantomatico Ufficio Complicazione Affari Semplici dell’AdE – un acronimo aulicamente autocosciente – un oscuro funzionario ha avuto una bella trovata.
Le spese mediche sono solitamente la voce più consistente di detrazione per una famiglia media, insieme ad eventuali spese di istruzione e sport dei figli e ristrutturazione di fabbricati. Per cui, ogni contribuente conserva diligentemente gli scontrini – opportunamente provvisti di codice fiscale – inerenti a qualunque spesa per farmaci o prestazioni sanitarie.
Ora, una ricevuta di spesa, provvista peraltro dell’obbligatorio contributo di legge, da parte di un medico specialista è in sé un documento fiscale a tutti gli effetti. E non viene rilasciato, se non a fronte di un effettivo scambio di denaro a fronte di una prestazione. Il professionista che lo produce, e l’utente che lo riceve, stanno attestando di fronte allo Stato di aver compiuto una transazione finanziaria, che obbliga il primo a pagare le tasse relative; e offre al secondo l’occasione di beneficiare della detrazione.
Il funzionario di cui sopra – o chi per lui – ha deciso ad un certo punto che tale transazione, oltre a dover essere attestata, dovesse essere tracciabile. Vale a dire eseguita attraverso bonifico o pagamento via POS. Il che sarebbe già ridondante, dato che c’è un’attestazione perfettamente valida, ma diventa molto discutibile se si dà ad essa valore retroattivo. Si dice cioè al contribuente che nel caso in cui le transazioni di questo tipo non siano avvenute con i sistemi tracciabili, non sono valide. Questo consente immediatamente allo Stato di alzare la base imponibile del cittadino – che non è più in grado di detrarre – e di tassarlo come se quelle transazioni, che il cittadino stesso ha legittimamente compiuto, non fossero mai avvenute.
Facciamo un minuto di silenzio per riflettere sulla natura di questa operazione, e decidiamo autonomamente se sia degna di un Paese con un certo grado di civiltà giuridica, o piuttosto assomigli di più ad una sòla da mercato delle pulci.
E se per avventura il contribuente ha effettuato i pagamenti via bonifico? In verità, non è detto che i suoi guai siano finiti, specie se è un cliente Unicredit.
Per suoi imperscrutabili motivi, infatti, Unicredit non consente ai propri utenti l’accesso online alle transazioni avvenute oltre un certo tempo nel passato. Capita quindi, nel caso di specie, che l’utente che voglia scaricare le ricevute dei bonifici effettuati nel 2020, possa farlo solo per i mesi da ottobre a dicembre. Si è costretti quindi – il nuovo mondo digitale diventato normalità durante la pandemia ci ha insegnato quanto tutto ciò sia inaccettabile – ad andare fisicamente in filiale per richiedere le ricevute stesse.
Ma i guai non finiscono neanche in filiale. Qui, ostentando un atteggiamento da James Belushi in The Blues Brothers – le cavallette, non è stata colpa mia – l’impiegato informa l’utente che non è possibile estrarre transazioni individuali, ma solo l’intero estratto conto del 2020. E se l’utente, con gli occhi strabuzzati, fa presente che l’estrazione di un’operazione è una semplice query su un database, disponibile da almeno quarant’anni, l’impiegato risponde con la querymonia: è il sistema che è così, per avere le transazioni individuali bisogna fare domanda al team informatico centrale di Unicredit, rispondono dopo alcune settimane ed è un servizio a pagamento.
Più confuso che persuaso, l’utente esce dalla filiale con il suo mazzo di carte con tutte le transazioni, con la prospettiva di dover evidenziare a mano quelle giuste e condividere l’intero documento – in barba a qualunque concetto di riservatezza – con il proprio commercialista.
Il totale dell’esperienza è che Unicredit, per dare all’utente i suoi dati, quelli di cui l’utente stesso detiene sempre e comunque la proprietà, chiede a quest’ultimo di sobbarcarsi una serie di scomodità, e magari di pagare pure per ottenere accesso a ciò che è suo di diritto. Peggio ancora, nella testa dell’utente frulla una domanda inquieta: che razza di database relazionale usano in Unicredit, se non è capace di effettuare una query così semplice? E se una funzione di base come questa risulta un tale problema, come saranno messi a sistemi di sicurezza per garantire la riservatezza dei dati dei milioni di utenti che gestiscono? Ove mai questo articolo dovesse arrivare nello splendido grattacielo di piazza Gae Aulenti, forse sarebbe bene aprire una riflessione seria.
Ultima chiosa sulla stranezza del comportamento dell’AdE circa la deducibilità delle transazioni sanitarie. Non è strano che questo provvedimento sia stato reso retroattivo all’anno 2020? Che cos’è successo nell’anno 2020 che possa giustificare una tale strana decisione?
Forse è successo che a causa di una pandemia mondiale, il numero e il valore delle transazioni finanziarie riguardanti prestazioni sanitarie è schizzato alle stelle. Il numero di cittadini che quest’anno avrebbero portato in detrazione prestazioni sanitarie è senza dubbio elevatissimo, molto più elevato del normale. E se c’è tanta detrazione, vuol dire che complessivamente la base imponibile decresce e le entrate dell’AdE diminuiscono vertiginosamente. Un buco di bilancio in cui forse si è deciso di porre rimedio in qualche modo, calpestando qualche diritto oltre alla normale logica.
Non sappiamo se questo sia vero, ma andreottianamente, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.