
Qual è il modo corretto con cui un addetto alla selezione del personale – sia esso interno o esterno ad un’azienda – deve affrontare una serie di scenari che coinvolgono inevitabilmente l’argomento Green Pass? Insomma: se è chiaro cosa non fare, altrettanto chiaro dev’essere agli operatori e alle organizzazioni anche cosa si può o si deve fare per essere conformi alle prescrizioni in materia di protezione dei dati personali nell’ambito del recruiting e della gestione delle risorse umane.
Non è infrequente che un candidato invii, in maniera spontanea, non soltanto il proprio curriculum vitae ma anche i dati del proprio Green Pass. In alcuni casi addirittura una copia dello stesso, in altri solo le informazioni circa il termine di validità. Attenzione, però: sebbene sia a tutti gli effetti un conferimento spontaneo, in quanto si riscontra agilmente l’atto inequivocabile del consenso dell’interessato all’invio e successivo trattamento dei dati, tale elemento non può superare il limite stabilito da un divieto espresso riguardante la conservazione del dato. Inoltre, è bene ricordare che il consenso nell’ambito lavorativo, e ancor più da parte di un candidato, non può costituire una base giuridica per il trattamento di dati personali stante l’evidente squilibrio di potere fra le parti.
Ora: che cosa fare nell’ipotesi in cui un candidato chieda se può giovare al buon esito della propria selezione l’invio di talune informazioni riguardanti il Green Pass? Certamente, un recruiter attento al rispetto della norma e dunque che non agisce né intende agire in malafede o in danno dell’organizzazione presso cui lavora e per conto della quale seleziona il personale, dovrà rispondere dicendo che tale informazione non è richiesta per partecipare al processo di selezione.
In caso contrario, la violazione riguarda tanto la normativa in materia di protezione dei dati personali che l’art. 8 dello Statuto dei lavoratori, per cui “È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.”.
E se si riceve unitamente al CV l’informazione circa lo stato vaccinale, la scadenza del Green Pass, o addirittura una copia del Green Pass? Eliminare l’informazione superflua ed informare a tale riguardo il candidato (con il linguaggio semplice, chiaro e accessibile richiesto dall’art. 12 GDPR) è la soluzione più semplice da percorrere.
Cosa devono fare le organizzazioni per prevenire queste e altre non conformità riguardanti questo specifico ambito? Senza dubbio, provvedere quanto prima ad un’adeguata formazione e sensibilizzazione dei recruiter, istruendoli puntualmente sugli aspetti normativi del Green Pass e le possibili declinazioni operative. Garantendo un coinvolgimento adeguato del proprio DPO.