
E’ di questi giorni la decisione di strategia del Ministro Renato Brunetta in merito al futuro dello smart working nella Pubblica Amministrazione, in vista della ripresa “regolare” delle attività nelle Pubbliche Amministrazioni.
Nulla di nuovo sotto il sole: già al Forum PA dello scorso luglio, tratte le prime osservazioni a seguito delle Linee Guida sul Piano Organizzativo del Lavoro Agile (il cosiddetto POLA) emanate con D.M. del 9 dicembre 2020, si confermava l’obiettivo di ripristinare i servizi in presenza quale “modalità ordinaria” di prestazione lavorativa per le Pubbliche Amministrazioni, però aprendo la porta ad una possibilità, calibrata sul 15% della forza lavoro, di mantenimento di prestazioni “smart working” (dichiarazioni al Forum Ambrosetti dello scorso settembre).
Dalle parole ai primi fatti, la bozza di contratto elaborata dallo staff del Ministro Brunetta e dall’ARAN (l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle PP.AA.) è stata palesata, con la promessa di formalizzazione entro un mese, e presenta alcuni elementi a nostro parere interessanti.
In prima battuta, si conferma la soglia del 15% delle prestazioni in modalità agile, attualmente ancora attestata circa sul 50% della forza in servizio. La precedenza sarà accordata alle categorie più fragili (neomamme nei primi tre anni, lavoratori disabili o con figli con disabilità da accudire), con accordo scritto ad personam sugli orari e giorni “smart” tra il lavoratore e l’Amministrazione di appartenenza.
Per inciso, ci sembra che questa soluzione tratti lo smart working più come una misura organizzativa della PA piuttosto che come un diritto soggettivo attribuito al lavoratore. Ma, come diceva la mia saggia nonnina, “piuttosto di niente, è meglio piuttosto”.
In aderenza alle disposizioni del più recente Decreto Legge, inoltre, correrà l’obbligo di green pass per il personale, ma questo è un altro ambito di discussione, che Stefano Gazzella, su queste stesse colonne, molto meglio di me analizza. Una interessante azione di integrazione e semplificazione potrebbe essere il controllo direttamente ai tornelli (ove in uso…), fatti salvi tutti i distinguo e le implicazioni di privacy.
Altro aspetto interessante, la definizione di tre “livelli di servizio” per la prestazione smart: saranno previste una fascia oraria di “operatività”, nella quale il dipendente dovrà rendersi reperibile ed essere operativo; una di “contattabilità”, nella quale potrà essere cottattato via telefono o via e-mail; ed infine una fascia di “inoperabilità”, nella quale viene mutuato il diritto al riposo giornaliero di almeno 11 ore consecutive, ma soprattutto deve essere garantito (con l’applicazione di idonee misure organizzative e tecniche) il “diritto alla disconnessione”.
Proprio quest’ultimo paradigma ha suscitato la mia attenzione, e scopro che già a fine 2016 la Francia, con l’emanazione della nuova Loi Travail (la legislazione sul lavoro, promulgata in maniera piuttosto travagliata e controversa, ma tant’è) aveva introdotto questo principio. I lavoratori d’oltralpe hanno la facoltà di invocare la “disconnessione tecnologica”, rendendosi irreperibili e impermeabili a chiamate ed e-mail sui propri contatti lavorativi. (Qui un’analisi comparata sullo stato di fatto in Francia ed in Italia nel 2017 elaborato dalla redazione del magazine online www.filodiritto.com ).
L’idea di fondo è assolutamente condivisibile e sacrosanta. Me ne sono reso conto nei periodi di lockdown “serio”, nei quali l’azienda multinazionale per la quale lavora mia moglie ha da subito introdotto il lavoro da casa. La mia signora è un po’ stakanovista, e spesso tornavo dal mio luogo di lavoro (ben poco “smart working” per me purtroppo) e la trovavo ancora china sul portatile oltre l’orario edittale, staccando ben poco anche alla pausa pranzo.
Sinceramente, spegnere il cervello e i contatti dal lavoro è una bella iniezione di salute. Piacerebbe anche a me, ma la mia scelta lavorativa purtroppo non me lo consente proprio.
Nel privato, abbiamo già alcuni esempi virtuosi. Uno per tutti (e senza fare pubblicità) è il gruppo Generali che già a luglio 2021, organizzandosi per tempo, ha elaborato un accordo con le rappresentanze sindacali di categoria, mettendo a frutto l’esperienza “forzata” del lockdown e valorizzando i nuovi modelli organizzativi delle prestazioni dei propri dipendenti, con ampia flessibilità nella scelta del luogo e degli orari di lavoro, consentendo così un nuovo e interessante sistema di “equilibrio tra lavoro e vita privata, tra esigenze organizzative ed aspettative del personale, tra efficienza produttiva e sostenibilità ambientale”.
E per la dirigenza? Comincia far capolino la figura del remote leader: il Capo incombe anche via Wi-Fi, ma questa volta a fin di bene. In effetti il management e la leadership di un gruppo di collaboratori è arte sopraffina, già difficile da esercitare in maniera efficiente in presenza. Tutti noi ben conosciamo la differenza tra “capo” e “leader”, in cui spesso uno sguardo, un caffè alla macchinetta, un incontro fortuito fanno molto più di qualsiasi ordine di servizio o disposizione circolare.
Il leader deve reinventarsi come remote leader, mantenendo il suo carisma e aumentando le sue doti di empatia e capacità di ascolto, anche attraverso l’etere e i monitor, e qui scatta l’inventiva: i caffè virtuali, gli stand-up meeting, i corsi di yoga online organizzati dall’azienda, le occasioni di svago del team. Tutte piccole attenzioni che fanno compattezza in un gruppo che, se non ben sorvegliato (ovviamente parliamo a fin di bene) potrebbe far sfuggire qualche personalità meno forte o meno motivata.
E anche in questo caso (ne abbiamo parlato su queste colonne qualche tempo fa) anche il Chief Happiness Manager potrebbe avere un nuovo impulso nel suo ruolo.
Io sono ottimista per natura, anche dall’isola su cui ora vivo.