CITTADINI & UTENTI

Rave Party, forse è il caso di approfondire e non dimenticare

Il raduno di quest'estate ripropone la questione della pubblica sicurezza ed incolumità, in Italia non ci sono ancora adeguati mezzi per controllare questi eventi

Festa da sballo.

Al Gran “Rave” di Ferragosto siamo stati invitati praticamente tutti; bastava seguire sul web le fasi dell’organizzazione per assicurarsi un posto in pista. Io ero distratto e ho mancato l’evento. Sarà per il prossimo.

Sì, perché altri ce ne sono stati ed altri ce ne saranno fino a quando non ci saranno i mezzi adeguati per controllare il fenomeno.

Cos’è, intanto, un “Rave”?

Il fenomeno nasce in Inghilerra, nei primi anni ’60 dello scorso secolo, sull’onda lunga della marea Hippy.

Masse di giovani si riunivano per esprimere liberamente il proprio talento musicale e per ascoltare la musica che stentava ad inserirsi nei circuiti commerciali. Il tutto al fumo degli incensi e non solo degli incensi.

Con i progressi dell’elettronica il fenomeno cominciò a dilatarsi. Casse acustiche sempre più potenti consentivano di “coprire” aree sempre più vaste. I partecipanti ai “Rave” cominciarono a contarsi a decine di migliaia e le conseguenze sull’ordine pubblico divennero significative.

In Inghilterra, nel 1996, fu approvato Il “Criminal Justice Act” che consentiva l’arresto degli organizzatori e disponeva sequestro e confisca degli apparati di diffusione. Questo perché era andata crescendo la vocazione antagonista dei partecipanti e soprattutto la circolazione degli stupefacenti divenuta, intanto, veramente “free”.

La reazione fu strategica. Le “Tribe”, così si definiscono i gruppi, si trasferirono altrove. Francia, Germania, Italia e Repubblica Ceca, in ragione delle leggi più permissive, divennero mete privilegiate. Con la diffusione dei “Social”, poi, le convocazioni divennero un gioco di società: un passaparola elettronico e istantaneo.

In Francia, nel 2002 si emana la legge Mariani, più rigorosa del “Criminal Justice Act” britannico, ed il fenomeno conosce una netta contrazione; la Repubblica Ceca approva la sua leggina e la Germania aggiunge un paio di commi rigorosi alla sua legislazione in materia.

Resta così l’Italia sola per accogliere questi migranti del decibel che, invitati a nozze, invadono in massa la Penisola.

L’ingresso al “rave party” è generalmente gratuito, ma qualcuno fa lucrosi affari. D’incanto si apre un “Suk” dove si commercia di tutto, dalla collana di perline di fiume birmano all’ultimo ritrovato in pillole dei laboratori di chimica, senza omettere alcuno dei prodotti “bio” dei campi afgani e delle alture boliviane.

In Parlamento giace, dal 2008, una timida  proposta  di legge (on. Giorgio Merlo) che arriva a prevedere il “sequestro provvisorio” delle attrezzature senza ulteriori pene. E’ nel cassetto, dove può restare senza che si levi un lamento.

Aspettarsi interventi legislativi è velleitario.

Ogni proposta per legiferare in materia di assembramento o tutela dell’ordine troverebbe il fuoco di sbarramento su un fronte amplissimo. Lo schieramento difensivo va dai sindacati di ogni ispirazione ai partiti di ogni collocazione. E’ la nostra storia che compatta tutti; così, al massimo, per le Forze di Polizia, sono possibili identificazioni, denunce per occupazione di fondo e sequestri. Provvisori.

Veniamo ora al nodo della questione.

Il “rave party” di Valentano ha colto tutti di sorpresa; un po’ come tutti i “rave” che si rispettino.

Generalmente, dopo il primo rituale sconcerto, è il Prefetto che informa il Gabinetto del Ministro dell’Interno dove si prende atto della vicenda e si aspetta la conclusione della gioiosa manifestazione con l’auspicio che sia fatta salva l’incolumità di tutti. Poi si inserisce il dato nel “mattinale” per il Ministro insieme a tutte le notizie con un minimo di rilievo.

E’ una scelta politica condivisa da tutti i Governi. Non ho notizia di un solo “rave” sciolto con la forza negli ultimi trent’anni; da quando, cioè, il fenomeno ha cominciato a diffondersi in Italia. D’altro canto non ho idea di come lo scioglimento forzoso di una manifestazione del genere possa avvenire senza conseguenze per l’incolumità di molti.

E poi diciamocelo: aspettarsi che un ministro tanto rigorosamente tecnico ribalti una scelta politica consolidata nei decenni è decisamente fantasioso; né possiamo aspettarci che presenti un disegno di legge di tanto peso politico quando il Governo della Repubblica è alle prese con problemi di equilibri di coalizione ignoti persino ai governi della Ricostruzione.

Per questo, alla fine del suo intervento in Parlamento, mi aspettavo che il Ministro Luciana Lamorgese concludesse con un invito ecumenico: “Il Rave è finito, andate in pace”.

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