
Sull’onda delle soluzioni green, EnerVenue, startup votata unicamente alla creazione di energia pulita, riprende un pilastro dell’industria aerospaziale e promette di rivoluzionare lo scenario ecologico dello stoccaggio di energia.
Tempo fa abbiamo parlato delle batterie al litio e del boom ritardato delle auto elettriche, dovuto ad un innalzamento della futura richiesta affiancato da una fornitura di batterie non sufficiente.
Alla stregua di quest’ultima, quanto a qualità eco-friendly, si pone un altro tipo di batteria, forse meno conosciuta, poiché di impiego più altolocato (Spazio), ma che è in giro da molto tempo…la batteria Nichel-Idrogeno.
C’è un motivo però se non si è soliti avvistarla frequentemente: il prezzo elevato, dovuto all’elettrodo di platino che lo compone e che rappresenta ben il 70% dell’intero costo, ne preclude un impiego più capillare. Da qui la svolta.
La batteria Nichel-Idrogeno è ormai da decenni un vero e proprio evergreen dell’industria aerospaziale, basti pensare che è adoperato abitualmente per lo stoccaggio di energia elettrica nei satelliti e nelle sonde spaziali, tant’è che sia la ISS che il telescopio spaziale Hubble ne fanno utilizzo, quindi la rivoluzione messa in atto da EnerVenue non sussiste tanto nel suo utilizzo, quanto in una sua leggera modifica che ne abbatta il prezzo.
La startup ha infatti raccolto 100 milioni di dollari per cercare di dare una spinta a questa transizione ecologica, ma come intende farlo?
Yi Cui, professore della Stanford University e ora presidente di EnerVenue, ha determinato un modo per adattare i materiali e ridurre i costi.
Anzitutto, perché puntare sul Nichel-Idrogeno?
Sebbene sia risaputo che la sua densità energetica sia solo un terzo rispetto alle batterie al litio, impareggiabili invece sono gli altri aspetti: può resistere sia a temperature estremamente alte che a temperature estremamente basse, senza bisogno quindi di condizionatori o sistemi di gestione termica, non richiede alcuna manutenzione, se non pochissima, e ha una durata molto più lunga, in quanto supporta oltre 20.000 cicli di ricarica all’85% di efficienza.
“Ho trascorso quasi tre anni e mezzo prima di EnerVenue alla ricerca di una tecnologia di stoccaggio che potesse competere con gli ioni di litio”, ha confessato il CEO Jorg Heinemann a Techcrunch, “In sostanza mi ero arreso”. Fino a quando non ha incontrato Cui, che è riuscito attraverso la sua ricerca a ridurre il costo da circa 20.000 dollari per kilowattora a 100 per kilowattora, una diminuzione sbalorditiva che lo mette alla pari con la tecnologia di accumulo di energia esistente oggi.

Come funziona? Si carica accumulando idrogeno all’interno di un recipiente a pressione e, quando si scarica, quell’idrogeno viene riassorbito in acqua. Le batterie di EnerVenue possono caricarsi e scaricarsi a velocità diverse a seconda delle esigenze del cliente. Può andare da una carica o scarica di 10 minuti a un ciclo di carica-scarica di 10-20 ore, anche se l’azienda sta ottimizzando per una carica di circa 2 ore e una scarica di 4-8 ore, inoltre sono state progettate per supportare 30.000 cicli senza subire un calo delle prestazioni.
Come spiegavamo prima, la differenza chiave tra le batterie nello Spazio e quella che EnerVenue sta sviluppando sulla Terra è la tipologia dei materiali. Le batterie al nichel-idrogeno in orbita utilizzano un elettrodo al platino, particolarmente dispendioso, come anche il separatore ceramico. L’innovazione di EnerVenue è l’impiego di materiali nuovi, a basso costo e abbondanti sulla Terra, che però non hanno rivelato 😉 .
Heinemann ha anche spoilerato che un team avanzato all’interno dell’azienda starebbe lavorando a una svolta tecnologica separata che potrebbe ridurre ulteriormente i costi, fino a circa 30 dollari per Kilowattora, se non meno.
Ma ora il vero colpo di scena: a finanziare il tutto, poiché attirate dalla tecnologia in questione, sono stati due colossi dell’industria petrolifera e del gas, la società di infrastrutture energetiche Schlumberger e il ramo VC di Saudi Aramco, delle società il cui percorso fino ad ora è stato sostanzialmente l’opposto. Insieme alla Stanford University hanno però raccolto 100 milioni di dollari, il che lascia ben sperare per il futuro del pianeta.
PS: non aspettatevi che il nichel-idrogeno inizi a comparire nei vostri iPhone…la tecnologia in questione è ingombrante e pesante: anche se ridimensionata il più possibile, una batteria al nichel-idrogeno possiede ancora le dimensioni di una borraccia da due litri, quindi, a meno che non vogliate tornare a girare con quei mattoni della Motorola del 1973, molto probabilmente gli ioni di litio continueranno a svolgere un ruolo di primo piano in futuro.