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La sfida al COVID-19: chi la dura la vince

Il Professore Alessandro Russo, associato di Malattie Infettive presso l’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, prova a rispondere alla domanda posta nello scorso Messaggio in bottiglia da Adriano de Rosa che chiedeva: “Ancora troppi morti da Covid, perché?”

Alle porte della stagione autunnale la domanda che si stanno ponendo tutti, operatori sanitari e non, è: cosa dobbiamo aspettarci da questa pandemia nel prossimo autunno-inverno?

Leggendo il Messaggio in bottiglia di Adriano de Rosa “Ancora troppi morti da Covid, perché?” la domanda posta dall’autore apre la necessità di una riflessione: è lecito aspettarsi un’altra terrificante ondata di morti nel periodo autunnale?

Questa lunga guerra a SARS-CoV-2 ci ha insegnato che le distrazioni si pagano. Ma allo stesso tempo la profonda conoscenza del problema (che stiamo con tanta fatica raggiungendo) ci permette di proiettarci verso i prossimi mesi con una maggiore consapevolezza.

Un dato che sicuramente risalta in maniera eclatante in confronto allo stesso periodo dello scorso anno è un maggiore tasso di mortalità in proporzione ai casi osservati. 

Questa osservazione chiaramente ha una spiegazione complessa, ma provando a banalizzare potremmo innanzitutto imputare un più alto numero di morti alla variante delta, ormai endemica sul territorio nazionale. Tuttavia, la più profonda analisi del problema evidenzia come più dati convergono nel dimostrare la maggiore contagiosità e letalità di questa variante rispetto alle precedenti “versioni” del virus. 

Di fatto lo scenario che stiamo vivendo, e che nei prossimi mesi diventerà probabilmente più chiaro, è composto da 2 binari che viaggiano paralleli.

Da una parte a causa dell’ampia e capillare diffusione del virus assisteremo ad un dramma nel dramma: la pandemia dei non vaccinati. I dati provenienti dai reparti di degenza ordinaria, sub-intensiva e rianimazione mostrano in maniera inequivocabile come la malattia grave COVID-19 sia sostanzialmente ad appannaggio dei pazienti non vaccinati. In uno scenario di circa 3 milioni di non vaccinati over 50 ancora presenti in Italia, confrontandoci con un virus più contagioso e più letale, il carico di lavoro sugli ospedali non potrà inevitabilmente ridursi come i tassi di mortalità resteranno inevitabilmente ai valori più alti. Inoltre, sempre più casi di ospedalizzazione e di casi gravi vengono osservati anche negli under 50, non essendo purtroppo sporadici i casi di ricoveri di pazienti giovanissimi (anche under 30) nei reparti di terapia intensiva.

Il secondo binario è legato al comportamento della malattia nei vaccinati over 70. Molti pazienti sviluppano forme lievi-moderate di polmonite che non provocano praticamente mai l’ospedalizzazione nei reparti di terapia intensiva, tuttavia rendono necessaria l’ospedalizzazione nei reparti di degenza ordinaria e nelle sub-intensive. 

Tutto ciò ha l’effetto di sommare questi ricoveri ai ricoveri dei pazienti non vaccinati.

Ma come entrano in gioco questi pazienti nel determinare un aumento di mortalità? La maggior parte dei pazienti ospedalizzati over 70 anni è affetta classicamente da multiple patologie e la prolungata ospedalizzazione determina la comparsa di ben note complicanze in questa popolazione, tra tutte lo sviluppo di infezioni da batteri molto spesso multiresistenti agli antibiotici.

Esiste infine un ultimo problema di tipo prettamente burocratico. Il conteggio dei positivi ospedalizzati per cause non legate a COVID-19 influisce necessariamente sul numero di positivi totali e sul numero di morti, dal momento che l’evento morte può probabilmente ricondursi non a SARS-CoV-2 ma ad altra patologia motivo del ricovero. Non si tratta di tornare a vecchie e per fortuna accantonate diatribe “morto di o con COVID-19”, ma piuttosto di rendere i dati il più possibile accessibili per essere correttamente interpretati.

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