
L’introduzione delle procedure di verifica del Green Pass all’interno dell’ambito scolastico è stata una novità giunta a ridosso dell’avvio dei corsi e delle lezioni e dunque ogni istituto si è dovuto in breve tempo organizzare per essere conforme alle prescrizioni normative. Arrivate però alcune nuove regole, il pericolo è stato quello di ricadere in alcune vecchie, cattive abitudini.
Non solamente fra le scuole, infatti, lo scorso anno c’era stata una vera e propria corsa all’improvvisazione per coordinare contesto organizzativo e prescrizioni emergenziali. Ad esempio, con la rilevazione delle temperature all’ingresso che ha portato alla formazione di interi database privi di base giuridica e in spregio di ogni principio del GDPR. Oggi, si rischia dunque il ricorso storico con violazioni quanto meno sotto i profili della liceità e della trasparenza. E qui forse c’è stata una cattiva maestra con la torma di iniziative spesso poco conformi alla normativa in materia di protezione dei dati personali da parte della Pubblica Amministrazione.
Ebbene: è tornata alla moda – per un autunno-inverno sempre dedicato alla celebrazione dei burosauri – l’adozione di autocertificazioni per attestare o il possesso del Green Pass o, ancor peggio, i presupposti per l’emissione della certificazione verde ovverosia l’avvenuta vaccinazione, la guarigione da malattia da COVID-19 o l’esito tampone negativo.
Inoltre, lo stesso MIUR esclude espressamente tale possibilità all’interno della nota “Verifica della certificazione verde COVID-19 del personale scolastico – Informazioni e suggerimenti”, in quanto non vi è una norma che può fondare la liceità di tale attività.
È bene poi ricordare che ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 la possibilità di impiegare una dichiarazione sostitutiva di certificazione è limitata alle sole informazioni riguardanti stati, qualità personali e fatti tassativamente elencati all’interno dell’art. 46. Non solo: l’art. 49 della norma esclude espressamente che possano essere oggetto di autocertificazione certificati medici e sanitari “salvo diverse disposizioni della normativa di settore.”, e al momento non sono state previste deroghe a tale divieto generale applicabili tanto al Green Pass quanto ai suoi presupposti (tampone, vaccino, guarigione da COVID-19).Iniziative di questo tipo sono certamente dovute ad una comprensibile urgenza di organizzarsi per accogliere le nuove prescrizioni e ad una (considerevolmente) meno comprensibile ignoranza della normativa in materia di protezione dei dati personali. Quel che è prevedibile, purtroppo, è che sono e saranno destinate ad essere rappresentative per le worst practices che sfuggiranno alla sorveglianza di quei tristemente diffusi DPO da 500 euro/anno.