
L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha emesso un comunicato stampa in cui ricorda che l’atto di diffondere senza consenso da parte degli interessati dei dati personali all’interno di servizi di messaggistica e social network costituisce una violazione della vita privata e, ai sensi della normativa privacy, un illecito che può comportare anche l’applicazione di “pesanti sanzioni”. Tale azione di reminder è stata presentata come conseguente alle molteplici notizie riguardanti le iniziative di gruppi cc. dd. no-vax concernenti sia la diffusione che l’invito a diffondere indirizzi e numeri di telefono di “medici, giornalisti, rappresentanti delle istituzioni e politici”.
Ovviamente, per quanto non ci si possa che trovare d’accordo con il caveat del Garante Privacy, alcune considerazioni sono doverose per un osservatore critico. La protezione dei dati personali nei confronti di un personaggio che assume un ruolo pubblico o per molteplici ospitate televisive o per un incarico o altrimenti per essere, di fatto, un influencer, non è certamente la stessa che si può attendere un soggetto privato. Concetto caro alla tradizione statunitense, ripreso dalla giustizia europea soprattutto in tema di diritto d’oblio, il trovarsi under the public eye comprime per logica le pretese avanzabili circa la protezione dei propri dati personali. Ad esempio: se l’indirizzo di un VIP è noto, difatti, ben poco illecito può sussistere. Mentre al contrario, l’illecito sussiste se si va diffondere il numero di telefono che tale soggetto non ha voluto mai rendere di pubblico dominio.
È sempre più chiaro, pertanto, che la protezione dei dati personali è una tutela per l’individuo soprattutto nei contesti accelerati del social network e delle tecnologie digitali. E se non previene, ristora quanti sono danneggiati per effetto di attività illecite condotte sui dati personali e punisce – con fattispecie delittuose ad hoc – gli autori delle condotte criminose (fra cui rientra, ad esempio, il trattamento illecito di dati).
La motivazione è intuibile: l’interessato può patire un danno grave, irrimediabile o comunque sproporzionato. Ben venga dunque che il Garante Privacy ponga così tanta attenzione sulla tutela di soggetti che sono messi in pericolo da tali attività di diffusione di dati personali.
Si spera che, con coerenza, venga posta altrettanta solerte attenzione su fenomeni di gogne mediatiche spesso operate non nei confronti ma da parte di personaggi “in vista”. Insomma: non è infrequente, ed è anche fatto notorio, che all’interno dei social network alcuni soggetti famosi – fra cui medici, giornalisti, rappresentanti delle istituzioni e politici, ma non solo – espongano senza problemi alcuni utenti del social media ad una vera e propria gogna pubblica e alla mercé degli insulti dei propri numerosi follower. Sono sempre più comuni i fenomeni di questa giustizia privata digitale che si svolge in assenza di alcun giudizio pendente o definito, che crea vere e proprie vittime per alimentare il feed di qualche pagina o personaggio famoso in danno di un mr. Nobody o del quisque de populo di turno.
Certo, chi diventa vittima di questo fenomeno potrà essere – come spesso è – un delinquente, o una persona socialmente inaccettabile, ma non per questo ha minor diritto a veder tutelata la propria dignità individuale. Esistono però le opportune sedi per sporgere querela o presentare una denuncia. E soprattutto: non esiste un diritto ad essere carnefici digitali, mentre esiste (nonostante strenue ed immotivate opposizioni) il diritto alla protezione dei dati personali.