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La clessidra e la bomba atomica

Israele pone l'allarme sul tavolo delle Nazioni Unite: nel giro di dieci settimane l'Iran potrebbe dotarsi di un'arma nucleare

Tre settimane fa il Ministro degli Esteri Israeliano, Yair Lapid, e il Ministro della Difesa, Benny Gantz, hanno incontrato i rappresentanti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu; in quella occasione fu detto chiaramente ai rappresentanti delle Nazioni Unite che se il Governo iraniano avesse continuato con l’attuale ritmo l’arricchimento dell’Uranio, avrebbe avuto la possibilità di assemblare il primo ordigno nucleare nel giro di 10 settimane.

La notizia è stata ripresa dagli organi di stampa internazionali e nazionali, ma tutto sommato ha avuto un’eco probabilmente inferiore alla sua reale portata.

Gli ultimi eventi correlati al disimpegno delle Forze Occidentali dall’Afghanistan, e la preoccupante ripresa dell’attività terroristica a Kabul, hanno messo in secondo piano questa enorme clessidra che Israele ha posto sul tavolo delle Nazioni Unite, e che scandisce il conto alla rovescia per l’acquisizione della bomba atomica da parte del Governo iraniano.

Sette settimane è quanto ora rimane secondo gli Israeliani.

Più fonti riportano che il recente incontro tra il primo ministro israeliano Bennett ed il presidente americano Biden avesse in agenda, al primo posto, la questione iraniana.

Anche l’insistenza con la quale Bennett ha voluto incontrare Biden, nonostante la problematica situazione Afghana, lascia pensare che l’urgenza della questione iraniana non consentisse un rinvio.

I successivi resoconti dell’incontro al vertice suggeriscono però che nulla, se non la diplomazia, sia al momento sul tavolo delle opzioni possibili.

Ma è davvero questo ciò che il futuro ci riserva?

Israele ha, per ovvie ragioni, una grandissima preoccupazione circa la possibilità che uno degli Stati della regione si doti di capacità nucleare. Da sempre ha usato ogni mezzo possibile per prevenire che ciò accadesse.

Nel giugno del 1981 con una spettacolare operazione, nome in codice “Operazione Opera”, uno squadrone di F16 israeliani bombardò e distrusse il reattore nucleare costruito alle porte di Bagdad.

Operazione “Opera”

Saddam Hussein lo aveva acquistato dalla Francia con un accordo – osteggiato in tutti i modi da Israele – con il Presidente Chirac. Durante la costruzione del reattore, il Mossad si mosse in maniera risoluta: alcuni ingegneri francesi che lavoravano al progetto furono trovati senza vita a Parigi; alcuni sabotaggi rallentarono la costruzione del reattore. Ma poi il governo israeliano si rese conto che, nonostante gli sforzi compiuti dai servizi segreti, il progetto avrebbe comunque visto la luce. Allora scattò l’operazione aerea. Furono scelti i migliori piloti ed impiegati i nuovissimi F16 che furono opportunamente modificati dagli Israeliani ben oltre le specifiche emesse dalla casa costruttrice dei velivoli, l’americana General Dynamics.

I piloti impiegati nell’operazione “Opera”

La missione era difficilissima ed il rientro dei piloti alla base di partenza non era garantito. Si trattava di sorvolare il Mar Rosso, l’Arabia Saudita e penetrare in territorio irakeno per arrivare a Bagdad; e tornare indietro. Gli occhi di tutto il Governo israeliano erano su quegli 8 F16 che non potevano fallire: era l’ultima possibilità che rimaneva alla stella di Davide per disarmare Saddam. La missione fu un completo successo e fu condotta nel più totale riserbo. Nessuno, nemmeno il presidente Reagan, sapeva dell’attacco. L’unico che forse si rese conto di qualche cosa fu il Re di Giordania, che trovandosi sul suo yacht in vacanza su Mar Rosso, vide sfrecciare gli 8 F16 con prua est, bassissimi, a pochi metri dalla superficie del mare. Ma ormai era troppo tardi.

Quasi 30 anni dopo Israele dovette di nuovo fronteggiare la concreta minaccia nucleare proveniente da un altro nemico storico: la Siria. Anche in questo caso i servizi segreti israeliani ebbero la certezza che la Siria stava costruendo un reattore nucleare. Più volte il Governo israeliano tentò di ottenere l’aiuto americano per porre fine alla costruzione del reattore. Ma il presidente Bush negò tale appoggio. Ed allora scattò l’operazione “Orchard”. Nella notte del 5 settembre 2007, lo stesso squadrone di volo che quasi 30 anni prima aveva azzerato il progetto nucleare iracheno, entrò nello spazio aero siriano e rase al suolo il reattore di Al-Kibar.

Oggi, dopo l’incontro con Biden, l’appoggio americano sembra essere latitante, ma l’allarme del sistema di difesa israeliano sta raggiungendo rapidamente il massimo livello. Quale sarà la prossima mossa?

La sabbia della clessidra continua inesorabilmente a scorrere.

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