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La Caporetto del cielo

La triste vicenda di Alitalia ricorda per molti aspetti i meccanismi di quella sconfitta. Per altri versi, invece, è anche peggio.

La rotta di Caporetto durante la Prima Guerra Mondiale è per noi italiani e per molta parte del mondo il paradigma della sconfitta. Una sorta di monito a imperitura memoria sull’importanza di strategia e pianificazione nella conduzione di un affare complicato come la guerra.

Prima di essere una sconfitta militare, Caporetto fu infatti un rovescio manageriale. Un corpo grande e complesso come l’Esercito Italiano di allora fu disarticolato dalla pressione in un singolo punto. Il crollo di allora non fu determinato dall’insufficienza dei mezzi, quanto piuttosto dall’incapacità – per protagonismo, arrivismo, presunzione o incompetenza – di alcuni comandanti italiani nel disporne in maniera appropriata e tempestiva.

Morti tutti i protagonisti di allora, le analisi storiche ci hanno consegnato la visione di un’organizzazione militare che, prevedendo in tempo gli avvenimenti, allestendo adeguatamente le risorse, ed utilizzandole al meglio, avrebbe potuto resistere e dare una svolta alla guerra un anno prima di quando poi accadde.

Capro espiatorio di quel disastro fu il comandante in capo, Cadorna, mentre fu probabilmente uno dei pochi a mantenere la lucidità del caso durante la ritirata. Ben altre colpe ha avuto Badoglio, comandante di settore proprio dove la pressione fu esercitata, e che per i soliti miracoli all’italiana riuscì non solo a non essere toccato dall’inchiesta, ma anzi a riciclarsi alla grande fin dopo la Seconda guerra mondiale.

La triste vicenda di Alitalia ricalca per molti versi i meccanismi di allora, ed è il risultato di alcuni decenni di incapacità, protagonismo, arrivismo, presunzione e incompetenza. 

La guerra stavolta era rappresentata dal grande business del trasporto aereo, un asset che per la sola Italia, vale 160 milioni di passeggeri all’anno (dati pre-COVID) in un paese che raccoglie più del 50% dei monumenti patrimonio dell’UNESCO. Una posizione apparentemente di enorme vantaggio, che avrebbe dovuto generare, a fronte dell’abbondanza delle risorse disponibili – passeggeri in entrata e in uscita dal nostro Paese – il viatico per una sicura vittoria.

Il 26 maggio 2021 abbiamo invece avuto la nostra Caporetto nei cieli, con l’accordo raggiunto in sede Europea dal ministro Giorgetti per la nascita della nuova compagnia che prenderà il posto di Alitalia.

ITA (questo è il suo nome) è una società a partecipazione pubblica, che rappresenta una completa discontinuità con la precedente Alitalia. Per interpretare meglio il ruolo assegnatole, la nuova società ha deciso di rappresentare una cesura netta con le stesse istituzioni, non riconoscendo il CCNL a meno che non venga rinnovato alle condizioni da essa stabilite; diversamente adotterà un proprio regolamento aziendale.

Il marchio Alitalia, patrimonio di una parte della storia di questo paese, andrà all’asta e verrà aggiudicato al miglior offerente, magari una compagnia low cost che potrà far volare un paio dei suoi aerei con quella livrea, approfittando degli indubbi vantaggi del brand. Figuriamoci se oltre confine, chi si è affidato per anni al brand Alitalia, potrà comprendere davvero cosa sia accaduto nel dettaglio. In pratica, abbiamo superato in innovazione del disastro persino Caporetto quando, almeno, a nessun austriaco venne in mente di mettere all’asta le bandiere di guerra italiane.

Fortunatamente, la nuova compagnia si colloca “strategicamente” nel settore del medio raggio dominato dalle low cost, con una flotta di 45 aerei contro i 479 di Ryanair ed i 333 di Easy Jet. Ma non bisogna farsi spaventare dai numeri perché l’asso nella manica della nuova ITA sarà certamente il lungo raggio, focus imprenditoriale di ogni compagnia aerea, che addirittura considera il medio raggio come canale di alimentazione dei passeggeri per i voli intercontinentali. Qui ITA ha 6 aerei contro i 112 di Air France e gli 80 di Lufthansa! Ma i dati della flotta non vogliono dire tutto, perché le low cost percepiscono dallo stato italiano, sotto forma di incentivi, anche 391 mln di euro ogni anno, che contribuiranno sicuramente a rendere più agevole il mercato per ITA. 

Ma non finisce qui, perché i dipendenti della vecchia Alitalia, rimarranno in cassa integrazione per chissà quanti anni, con ulteriore, enorme, dispendio di risorse pubbliche. 

Il tutto mentre le compagnie di bandiera degli altri stati europei aggrediranno la fetta più cospicua del mercato italiano, portando oltre confine sia gli introiti dei biglietti, che le tasse. Perché in tutto questo, l’Italia è l’unico stato europeo a non possedere più una compagnia di bandiera. Questo è accaduto solo perché la politica ha dimostrato, per gli ultimi quattro lustri, di essere incapace di traguardare gli obiettivi a lungo termine, e li ha messi in sottordine rispetto agli interessi di partito. 

A guardare la vastità e la profondità di questo disastro, viene da dire che Badoglio era un dilettante in sconfitte, e che mentre da Caporetto risorgemmo con la battaglia di Vittorio Veneto, in questo caso siamo in presenza di una resa senza condizioni.

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