
Tra poco l’Afghanistan non farà più notizia, man mano che la situazione sul campo si stabilizzerà.
Una volta passata la prima ondata di interesse per quanto accade nel martoriato paese mediorientale, sfogate le pulsioni degli esperti da tastiera di strategie e geopolitica, il chiacchiericcio si accorderà su un monotono mi minore.
Negli Stati Uniti, un presidente Biden sempre più frastornato va verso la prevedibile messa in minoranza e sostituzione da parte della vicepresidente Kamala Harris. Sebbene la scelta di ritirarsi dall’Afghanistan sia legata ad amministrazioni precedenti alla sua, è facile per i suoi detrattori fargli fare la figura del disorientato esecutore, incapace di gestire nei modi dovuti le pubbliche relazioni.
In Italia, tace il coro delle prefiche professionali, a loro volta incapaci di gestire la dissonanza cognitiva tra il ritiro delle truppe e l’immediato precipitare delle donne afghane nell’incubo del fondamentalismo – tra antimilitarismo ed emancipazione femminile, devono avere dei bei problemi.
Intanto, una piccola guerra continua ad essere silenziosamente combattuta, fuori dall’attenzione degli internauti della Bassa e dei solidaristi da Fregene. La portano avanti sul campo un piccolo gruppo di Carabinieri, e, nei corridoi della Rete, sconosciuti militari in servizio e no.
I dimenticati di questa guerra sono tutti coloro che nei vent’anni di occupazione dei contingenti internazionali hanno collaborato con le forze straniere. Interpreti, poliziotti, militari, semi di una società democratica che si è cercato di far fiorire, ma che è appassita rapidissimamente con il ritorno dei talebani.
Per questi ultimi, si tratta di collaborazionisti, di nemici del popolo afghano, cui dare la caccia e giustiziare, e così le loro famiglie. La ventina di Carabinieri ancora presenti a Kabul cercano di recuperarne quanti più possono. Contemporaneamente, viaggiano su WhatsApp gli appelli di militari afghani, che magari hanno studiato nelle nostre Accademie, perché si traggano in salvo i loro familiari. Senza che ciò meriti gli onori della cronaca, in queste ore in tanti sono stati salvati.
Eroi senza nome operano nell’ombra, Carabinieri fedeli al proprio essere abituati ad agire nel silenzio per ciò che è giusto, anche quando si rimane in pochi contro un esercito, anche quando a volte ci si rimette la vita. C’è da essere orgogliosi di essere italiani.
E poi giunge la notizia che qualcuno nella notte torinese ha profanato il monumento ai Carabinieri caduti a Nassiriya, in quella stessa dannata guerra che ancora viene combattuta laggiù, fuori dal cono di luce dei riflettori, permanentemente a sfavore di camera.
Cosa possiamo dire sul contrasto tra i generosi ragazzi in divisa nera che strappano alla morte ancora uno, e un altro ancora, e quelli che motivati da non si sa che cosa compiono atti del genere?
Solo una, alla fine: chi ha bisogno della notte per affrontare dei Carabinieri morti, è un vigliacco che non avrà mai il coraggio di affrontarne di giorno uno vivo.