
Nel momento più rovente di questa torrida estate, l’Aspromonte brucia, così come bruciano altre aree del Mediterraneo. È talmente una non notizia, che il vacanziero distratto, e il lavoratore che ha fatto le ferie a luglio, ne prendono atto come una cosa normale, tipo i consigli di non uscire nelle ore più calde e bere molti liquidi.
Chi fa più attenzione alle colonne di fiamme che si levano dalle colline dietro le località balneari? Chi è interessato a comprendere le dinamiche di questo stillicidio di immagini di piante incenerite ed animali soffocati dal fumo? I Canadair gialli e rossi che planano sul mare e sui laghi per rifornirsi d’acqua sono al più un simpatico diversivo per regalare due minuti di eccitazione ai bambini annoiati in spiaggia.
Il disinteresse generale è tale, che gli appelli della comunità scientifica, l’elenco dei danni prodotti da questo tipo di eventi alla biodiversità del nostro ecosistema, cadono regolarmente nel vuoto. C’è perfino chi confonde, in termini di conseguenze per l’ambiente, il poco distruttivo fuoco rapido, a bassa temperatura, che percorre praterie e macchia mediterranea; con quello lento, ad alta temperatura, che si genera dall’incendio di una foresta. Nel primo caso, la vegetazione è naturalmente attrezzata per un recupero rapido; nel secondo, invece, la distruzione degli alberi è accompagnata da quella, molto più grave, del terreno sottostante, il che causa danni significativi e permanenti.
Ma cosa veramente si nasconde dietro la cortina di fumo che avvolge questo tipo di eventi?
Un fuoco non nasce mai da solo in natura, a meno di particolari ed eccezionali condizioni. L’autocombustione è un mito che viene usato come ombrello giustificativo di responsabilità precise. E tali responsabilità possono essere legate a fattori di tipo economico. La macchina degli incendi è un settore che muove piccoli e grandi interessi, e coinvolge moltissimi attori con commistioni forti con i corpi amministrativi dello Stato.
Il primo fattore di interesse è legato all’emergenza iniziale. Un incendio in corso, specie uno che interessa ampie aree di territorio boschivo, richiede l’impiego di una gran quantità di uomini e mezzi. Superata infatti la prima fase di intervento, quando i pompieri locali e i Carabinieri Forestali cercano di domare le fiamme, si rende necessario il reclutamento di pompieri avventizi, invariabilmente abitanti della zona, che aiutino nell’opera di spegnimento. Quando poi la situazione diventa abbastanza seria da richiedere l’intervento dei mezzi aerei, il meccanismo si amplia, e con esso l’impegno economico da parte dello Stato.
La storia dell’antincendio in Italia è piuttosto interessante, e merita un piccolo approfondimento. In origine, lo spegnimento degli incendi boschivi era demandato ad Esercito ed Aeronautica Militare. Gli elicotteri CH-47 e gli aerei G-222 della 46° Aerobrigata svolgevano il proprio servizio come una qualunque missione operativa: arrivo sull’obiettivo, risoluzione del problema nel più breve tempo possibile e rotta verso casa.
Questo meccanismo ben rodato, in cui i piloti con le stellette avevano tutto l’interesse a che l’incendio fosse spento rapidamente, dato che il loro stipendio era sempre lo stesso, è cambiato con il passaggio delle competenze in materia di incendi alla Protezione Civile. I piloti, dismessa l’uniforme, venivano pagati, oltre che con lo stipendio normale, con un’indennità proporzionale alle ore passate in volo in zona d’operazioni. La situazione è cambiata ancora quando, con la crisi della Protezione Civile del post-Bertolaso, la gestione dei Canadair, che rimangono di proprietà dello Stato, è passata nelle mani di società private. Anche in questo caso, vengono applicate tariffe fisse, integrate da indennità operative che sono proporzionali alle ore di impiego della risorsa.
Certamente tutti gli operatori del settore – pompieri avventizi, piloti privati, società di gestione – operano nella massima correttezza, anche se ogni tanto qualche piromane economico che ha interesse a che i boschi vadano in fumo per poterci lucrare viene ai disonori delle cronache.
Tuttavia, siamo proprio sicuri che eliminando dall’equazione fuoco-spegnimento qualunque aspetto legato al denaro, il nostro patrimonio boschivo non sarà più al sicuro? Una domanda, si direbbe, di bruciante attualità.