CITTADINI & UTENTI

I fake Green Pass e gli zecchini d’oro

Questa volta però la furberia non ha pagato...

L’Italia è un paese meraviglioso, in cui ognuno pensa di essere – per usare una locuzione anglosassone – il più intelligente della stanza.

La meritoria istituzione da parte del governo del Green Pass – l’ormai familiare certificazione dell’avvenuta inoculazione di almeno una dose di vaccino anti-COVID-19 – ha prodotto subito un paio di effetti.

Da un lato, la campagna vaccinale, che languiva per le umanamente comprensibili paure di una parte della popolazione, rinfocolate dal criminale comportamento di alcuni attori pubblici che su queste paure cercano di lucrare un credito personale, sociale o politico, è ripartita con forza. Questo è un obiettivo cui tutte le forze razionali e responsabili del Paese debbono tendere, per salvare vite e mettere finalmente in condizione di ripartire la nostra macchina produttiva e relazionale.

Dall’altro, le forze criminali di più o meno elevato cabotaggio hanno cercato di inserirsi nel processo, andando a trarre profitto dalla cialtroneria, dalla credulità, e dall’irresponsabilità di taluni cittadini. Per cui, sono subito fioriti i tentativi di falsificare la certificazione vaccinale, in modo da consentire a chi fino a questo momento, per paura o per scarso senso civico, ha evitato la vaccinazione, di accedere agli eventi ed ai servizi da cui sarebbero stati esclusi.

È stato così che la solita coorte di Furbetti del Quartierino si è rivolta a soggetti che assicuravano – in cambio di un compenso variabile – di poter fornire la certificazione senza farsi inoculare. Un comportamento, va ricordato, irresponsabile per sé e criminale per gli altri. Chi non si vaccina sceglie di correre il rischio personale di infettarsi e di subire conseguenze più o meno gravi, e questo rientra nelle facoltà di libera scelta. Fa invece correre il rischio a chi gli sta vicino di infettarsi a propria volta – ricordiamo che la variante Delta, pur non essendo né più grave clinicamente, né più letale, è più infettiva – di ammalarsi anche seriamente e di morire.

Questa volta, però, la furberia non ha pagato: una volta corrisposto il prezzo del Green Pass falso, i furbetti hanno immediatamente verificato che non funziona. Da qui, il romanzo noir di questa vicenda, si tramuta molto velocemente in una storiella con protagonista il Pinocchio del caso. Gli utenti truffati hanno minacciato (incredibile dictu) di denunciare alle autorità gli autori della truffa.

Questi ultimi, dimostrando di essere loro i più intelligenti nella stanza, hanno immediatamente replicato che se lo avessero fatto, avrebbero trasmesso alle autorità stesse i loro estremi, esponendoli alle conseguenze del caso. Di più, avrebbero venduto i loro dati sul dark web, dove qualunque criminale interessato ad effettuare transazioni illecite, come il commercio di armi o stupefacenti, o la compravendita di pedopornografia, avrebbe potuto usarli. Inoltre, alla cosa sarebbe stata data pubblicità su tutti i social, esponendoli al pubblico ludibrio.

Passati in un breve volgere di tempo da sciocchi bambini del Paese dei Balocchi a increduli Asinelli della situazione, i malcapitati hanno dovuto quindi sborsare ciascuno una rilevante somma in bitcoin, versione moderna degli zecchini d’oro, per scongiurare conseguenze peggiori, e sono rientrati a orecchie basse nella propria stalla virtuale a leccarsi le ferite.

Insomma, come i furbetti saprebbero se avessero speso una parte della propria infanzia a leggere le educative favole di una volta, le bugie hanno le gambe corte o il naso lungo, e a voler scherzare troppo con certe cose ci si ritrova nel ventre di una balena, senza nessun Geppetto buono che ci tragga d’impaccio.

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