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La rivoluzione del lavoro

“Il lavoro cambia, cambiamo il lavoro!” Sembra lo slogan di questo tempo medio fra “l’ancien régime” del lavoro a orario e in sede aziendale e il nuovo assetto avviato con la pandemia.

Ma che importa se sia “smart working” o “remote working” la definizione da dare al nuovo modo di lavorare avviato con la pandemia? Oggi tutti hanno sperimentato su sé stessi che non solo è possibile lavorare in modo smart ma è anche un vantaggio per il work life balance personale. In realtà lo smart working è un vantaggio per tutti: per le aziende che risparmiano sui costi fissi della sede e vedono una rinnovata motivazione dei dipendenti senza spese aggiuntive, per il personale che migliora sia il work-life balance grazie all’ottimizzazione dei tempi, alla sperimentazione di una maggiore autonomia organizzativa, e al guadagno in tempo personale evitando le annose code del traffico. Infine, il vantaggio è anche per la qualità dell’ambiente che può migliorare con la diminuzione del traffico cittadino e degli inquinanti.

Dunque, tutto risolto? Tutti d’accordo sul nuovo assetto? Non proprio. Le forze contrapposte fra i dipendenti che chiedono di seguire il nuovo corso e i tanti datori di lavoro ancora legati alla vecchia mentalità del “ti vedo in ufficio per cui è vero che lavori”, sono in continua tensione di bilanciamento, complice anche lo stato di emergenza che ha impedito i licenziamenti, ma la situazione potrebbe avere esiti non prevedibili con la forza lavoro che sembra avere un maggior poter contrattuale in funzione della penuria di talenti in alcuni ambiti di mercato, uno su tutti proprio quello informatico digitale e della sicurezza informatica. I segnali che la rivoluzione possa partire dal basso già ci sono: in America si moltiplicano i dipendenti che si licenziano in tronco al grido di un laconico “I quit”, mentre una recente ricerca dimostra come le condizioni di flessibilità e la cancellazione del periodo di prova, potrebbero essere una “conditio sine qua non” al raggiungimento di un accordo di lavoro.

Evidenze e trend dalla forza lavoro

La ricerca 2021 Workforce Mindset Study condotta e pubblicata da Alight su un campione di oltre 2500 dipendenti di aziende americane fra il 2020 e il 2021, ha evidenziato come la pandemia abbia accelerato trend che erano già emergenti ma che oggi, non possono essere ignorati. Associato al desiderio di stabilità, si assiste ad una richiesta di maggiore flessibilità come conseguenza della richiesta di maggiore attenzione alle esigenze personali e alla centralità del dipendente nelle politiche aziendali. La maggior parte di coloro che ha lavorato da remoto, ha lavorato più tempo e con una migliore qualità, ha potuto gestire autonomamente le attività da svolgere coniugandole con i bisogni personali. Ma c’è di più, molto di più: una richiesta strutturata di condizioni migliori in risposta alla propria soddisfazione non solo lavorativa, ma anche personale, quasi una “ricerca di felicità”. Ad evidenziarlo, l’ondata di “I quit” che in America si sono moltiplicati fino ad arrivare a quasi 4 milioni di americani che hanno lasciato il lavoro ad aprile 2021, secondo il Dipartimento del Lavoro e che sembrerebbe motivata proprio dalla ricerca di una maggiore felicità, come hanno spiegato due psicologi interpellati appositamente dalla CNBC. Alla base della tendenza dimissionaria, infatti, a parte la ricerca di una paga migliore, una maggiore consapevolezza di questi dipendenti, che con la vecchia impostazione erano arrivati ad essere insoddisfatti o anche “burned-out” (letteralmente bruciati ovvero sovra-stressati n.d.r.) dal loro lavoro e da qui la richiesta di restare a lavorare da casa anche dopo la pandemia COVID -19. Richiesta che, quando rifiutata, ha portato alle dimissioni. Dunque, la felicità come benefit? Non proprio, ma certo una maggiore richiesta di attenzioni in funzione di un rapporto di lavoro che non è mai stato a senso unico, ma che ha sempre avuto il datore di lavoro con il coltello dalla parte del manico. Oggi la capacità contrattuale dei talenti è maggiore. Ne è una prova anche la tendenza relativa al periodo di prova. Marco Dell’Uomo, Italy Country Leader di Alight Solutions, spiega come la pandemia sarebbe alla base della messa in discussione del periodo di prova, una delle clausole più ampiamente gettonate dei vincoli contrattuali (si tratta del lasso di tempo all’inizio di un nuovo incarico lavorativo durante il quale un dipendente può essere licenziato, con un minimo o nullo preavviso, se ritenuto non idoneo a quel determinato ruolo).

“È sempre stata consuetudine includere periodi di prova, di solito della durata di tre mesi, ma si arriva anche a sei, all’interno dei contratti di lavoro, ma ciò naturalmente comporta il fatto che il nuovo dipendente non abbia, per un certo tempo, alcuna garanzia di conservare il proprio lavoro. Infatti, il periodo di prova lascia i dipendenti più esposti e vulnerabili.

In linea di massima, i periodi di prova sono sempre stati considerati, importanti per entrambe le parti. Da un lato, aiutano i datori di lavoro a essere sicuri di aver fatto la scelta giusta durante il processo di selezione, permettendo loro di agire rapidamente qualora il nuovo assunto si rivelasse non adatto al ruolo.  Ciò riduce i costi che derivano dal continuare a impiegare persone non adatte e permette di sostituirle più facilmente. D’altro canto, per i dipendenti, è possibile lasciare l’azienda senza problemi nel caso in cui capiscano che quella posizione non è ciò che desiderano per la propria carriera, o se si verificano conflitti con i colleghi o se, semplicemente, il nuovo lavoro non rispecchia quanto era stato promesso. Ma i tempi cambiano. La nostra ricerca mostra che il 60% dei dipendenti non prenderà in considerazione un lavoro che offra meno flessibilità di quanta se ne disponga oggi, mentre le aziende internazionali hanno annunciato di voler ridurre il numero e gli spazi degli uffici presenti nelle città. Quindi, è chiaro che il luogo e il modo in cui lavoriamo sta subendo la più grande trasformazione dai tempi della rivoluzione industriale. Tuttavia, non è soltanto il modo in cui lavoriamo, ma anche il modo in cui gestiamo la nostra carriera che sta conoscendo cambiamenti radicali. In alcuni mercati stiamo assistendo a un piccolo, ma crescente numero di persone che sono riuscite a contrattare l’abolizione del periodo di prova da parte del nuovo datore di lavoro. Per i dipendenti, questa garanzia è stata sufficiente per far loro ‘abbandonare il vecchio per il nuovo’, mentre per i datori di lavoro ha rappresentato una leva per attrarre i migliori talenti nella propria azienda. Oggi nuovi modi di lavorare e di assumere si consolidano e ciò che fino a ieri era visto come ‘normale’ e indiscusso, oggi è totalmente rimesso in discussione. La sfida in questa “guerra dei talenti” è legata a quei dipendenti, soprattutto con un alto profilo professionale, che fanno richieste impensabili fino a solo pochi anni fa.

La pandemia ha evidenziato il fatto che il mercato, almeno per il momento, è in mano ai dipendenti. Se i datori di lavoro sono alla ricerca dei migliori talenti, allora è bene che tengano presente che oggi sono i dipendenti a condurre il gioco e a definire le carte in tavola, anche per quanto riguarda il periodo di prova”. Il messaggio per i datori di lavoro da parte di questa nuova generazione di dipendenti più fiduciosi nelle proprie capacità è semplicemente questo: se mi vuoi, voglio che tu mi voglia senza alcun dubbio e che ti impegni con me fin dall’inizio”.

Consigli ai datori di lavoro

Per restare competitivi come “datori di lavoro” la pubblicazione di Alight suggerisce 6 azioni:

  1. Cavalcare l’onda del lavoro a distanza e della flessibilità in tema di luogo di lavoro data l’accelerazione della trasformazione digitale come esigenza non più rimandabile sia per mantenere che per acquisire nuovi talenti, per scopi sociali di work-life balance ed anche per obiettivi di diversità, equità e inclusione.
  2. Ascoltare i propri dipendenti e comunicare con un dialogo continuo facilitando efficienza ed efficacia come anche offre una migliore percezione di giustizia sociale. Effettuare quindi dei check frequentemente, per ascoltare e intervenire per tempo.
  3. Dimostrare empatia evitando di dare la solita percezione per cui “un dipendente è solo un mezzo di produzione” piuttosto che una complessa, diversificata e resiliente risorsa dell’azienda. Essere compassionevoli non è solo “la cosa giusta da fare, ma è la cosa più intelligente da fare”.
  4. Dimenticare la taglia unica: i dipendenti non sono mai stati un monolite, quindi ben venga la comprensione delle diverse esigenze e dei driver della popolazione aziendale e la creazione di una esperienza complessiva ottimizzata dei dipendenti, reagendo anche ad esigenze di sottogruppi speciali con benefici, programmi o comunicazioni ad-hoc (dipendenti virtuali, genitori che lavorano, donne, giovani generazioni, minoranze, per eliminare i rischi di alienare i talenti di oggi e domani).
  5. Co-creare la prossima esperienza per i dipendenti. Le persone amano sentirsi parte del processo. Questo significa maggiore adesione e accettazione quando sanno di essere ascoltati e fornire una voce apprezzata. Coinvolgendo un gruppo più ampio di dipendenti (vedi punto precedente), si possono ottenere maggiore diversità di prospettive e maggiore pertinenza nella nuova esperienza, nelle azioni e nelle politiche.
  6. Rimanere agili perché “agilità” è la parola d’ordine del momento. Infatti, i datori di lavoro e i team delle risorse umane hanno dimostrato che si può essere agili e adattabili mediante nuovi programmi, nuovi partner e nuove politiche oltre alla tecnologia che sostiene il cambiamento. Questi “nuovi muscoli” non possono atrofizzarsi una volta che le cose si stabilizzeranno dopo la pandemia e dopo le vaccinazioni completate.

Consigli per i dipendenti

Per i dipendenti invece le domande cruciali da farsi per cambiare lavoro potranno essere legate a (Fonte ISACA):

  1. Qual è il motivo principale per cui stai considerando un cambiamento?  La risposta varia da persona a persona, ma le esigenze più comuni riguardano formazione/sviluppo, progressione, equilibrio tra lavoro e vita privata, flessibilità e stipendio. Una volta stabilita la propria esigenza, diventa molto più facile ottimizzare le opportunità.
  2. Il lavoro soddisferà il proprio bisogno? Quando si valutano più offerte di lavoro, è necessario considerare quale soddisferà il motivo originale per cui si sta cercando di lasciare la propria posizione attuale.
  3. Ne vale la pena? Il denaro è un fattore importanti dei movimenti di carriera, ma a volte la posizione con lo stipendio più alto non è quella da prendere. Valutare bene anche i benefit collaterali (bonus, flessibilità, work-life balance e sommare tutto)
  4. Con chi si lavorerà? L’adattamento della squadra è importante e non dovrebbe essere sottovalutato quando si decide quale offerta accettare. Considerare con chi si è interagito nel processo di assunzione: si riesce a vedere di lavorare bene con il futuro potenziale manager? Con chi altro si lavorerà nell’organizzazione? Eventualmente chiedere di incontrare il team prima di entrare.

Non ci si deve precipitare in un nuovo ruolo o accettare un’offerta, ma se qualcosa attirasse la propria attenzione, non si dovrebbe aver paura di scavare un po’ più a fondo per prendere la decisione giusta per sé stessi.

In conclusione, tutti desiderano il fantomatico ritorno alla normalità, ma i dipendenti stanno dicendo cosa vogliono e ciò di cui hanno bisogno. È ora di ascoltare, collaborare e agire.

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