
Sul Fatto quotidiano è apparso ieri un articolo a firma di Stefano Caselli intitolato “Fauci: vaccinati o no, contagiosità identica”. Il sottopancia recitava: “Stessa carica virale nei contagiati da Delta”.
A leggerlo così, e sapendo che Anthony Fauci è il virologo consigliere del presidente degli Stati Uniti, nonché portavoce ufficiale per tutto quanto attiene alla pandemia di coronavirus, il lettore generico medio, per non parlare della famigerata casalinga di Voghera, si mette subito in allarme.
Il messaggio che titolo e sottotitolo trasmettono, infatti, è semplice ed apparentemente univoco: anche i vaccinati si infettano di variante Delta, e risultano avere ad analisi la stessa carica virale di coloro i quali il vaccino non l’hanno fatto. Ergo, pensa la casalinga di Voghera, cosa mi vaccino a fare, se tanto il virus me lo prendo lo stesso, con la stessa carica virale, e posso comunque contagiare?
Nel corpo dell’articolo viene riportata integralmente la dichiarazione del medico americano, che ad un occhio oggettivo racconta una storia diversa da quella trasmessa dal titolo. Fauci ha dichiarato:
Raccomandare mascherine al chiuso anche per i vaccinati può sembrare paradossale, dato il via libera di due mesi fa. Ma non siamo cambiati noi, è il virus che è cambiato. Due mesi fa avevamo a che fare con la variante Alfa, notevolmente diversa dalla Delta, che ha un livello di contagiosità molto più alto. La Delta è una variante pericolosissima, scaltra. I dati che abbiamo in questo momento ci dicono che le persone vaccinate possono reinfettarsi e trasmettere il COVID. Non è un evento comune, anzi è piuttosto raro ma succede. (…) Se guardiamo al livello del virus, nelle mucose delle persone che vengono contagiate da un’infezione di Delta nonostante il vaccino, è esattamente lo stesso livello di carica virale presente in una persona infetta non vaccinata.
Il significato di ciò che Fauci ha dichiarato – al netto dell’attribuire impropriamente un’intelligenza alla variante Delta definendola scaltra – è piuttosto comprensibile a chi legga attentamente.
In primo luogo, il fatto che un individuo vaccinato possa rimanere contagiato dalla variante Delta non è un evento comune, anzi è piuttosto raro. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, quindi, non stiamo parlando – come il titolo dell’articolo del Fatto farebbe pensare – di una variante ammazza-vaccino, che riesce a superarne le difese e lo rende inutile.
In secondo luogo, in quei rari casi – lo ripetiamo, rari – in cui si manifesta la positività alla variante Delta in individui vaccinati, questi hanno una carica virale comparabile ai non vaccinati. Questa è una circostanza assolutamente normale ed attesa, e bisogna inquadrarla nella sua giusta dimensione. La variante Delta, infatti, non è conosciuta – sempre allo stato delle nostre conoscenze – per essere una che aumenta severità e letalità dell’infezione, ma solo la contagiosità. La presenza di alta carica virale nei rari individui vaccinati che vengono infettati da variante Delta, quindi, non vuol dire che questi ultimi stanno male più che con altre varianti, né che rischiano maggiormente la vita. Vuol dire che passano l’infezione ad altri più o meno come fanno gli individui non vaccinati.
In ultima analisi, ciò che bisogna trasmettere al lettore medio è che la probabilità di infettarsi di variante Delta se si è vaccinati è bassissima; e che in ogni caso si rischia solo di passare l’infezione ad altri. Entrambi questi dati insieme, mandano un messaggio che è l’esatto contrario di quanto il titolo del Fatto suggerisce: bisogna vaccinarsi.
Sgombrato il campo sotto il profilo scientifico e comunicazionale, rimane tuttavia qualche aspetto deontologico da mettere in rilievo.
Ho avuto la fortuna, prima che la pandemia colpisse, di essere spesso invitato a congressi medici come esperto di comunicazione in ambito sanitario, per parlare dell’impatto delle fake news nel mondo della salute. Richiamavo costantemente l’attenzione sulla necessità di educare il pubblico generale ad una corretta lettura delle notizie e alla selezione delle fonti. Una fake news terrorizzante, come dimostrato persino in un lavoro di scuola apparso su Science, ha un potenziale di diffusione molto elevato. Si attivano i percorsi istintivi di chi riceve lo stimolo, spingendolo a reagire in maniera irrazionale, senza ponderare bene le informazioni.
Certo, nel nostro contesto fare un titolo allarmistico fa vendere copie e genera click. Magari nel testo dell’articolo si spiega come effettivamente stanno le cose, ma il danno ormai è fatto. Qualunque cosa stia sotto il titolo, sarà interpretata in chiave dello stesso, e l’impressione rimarrà, generando ad esempio in questo caso paura, diffidenza ed allarme sociale.
E dunque, ancora una volta, quanto è etico scatenare la paura nel pubblico, usando un titolo acchiappaclick?
Fatti, non pandette.