
“Control of space means control of the world” diceva l’allora presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson, e mai quanto in quest’era dello spazio ce ne possiamo rendere conto.
Cina, USA, e gli eterni attriti, anche dove fisicamente non dovrebbero essere di stanza…una avanza spedita, magnis itineribus, l’altra la scruta con diffidenza e terrore che l’aggressiva strategia spaziale militare cinese, in virtù della loro concezione di guerra spaziale “rapid and destructive”, possa farsi beffe delle loro difese tramite missili anti-satellite di nuova fabbricazione.
Come difendersi da tali minacce? Non è da ritenersi sufficiente l’allestimento di una pletora di piccoli satelliti, né tantomeno un loro rinforzo. La velocità e la manovrabilità rimarranno attributi chiave per la guerra, e da qui la necessità di proiettarsi verso nuovi orizzonti che fanno capo alla propulsione termica nucleare.
Il programma cinese anti satellite, anche noto come ASAT, ha origine nel 1964, ma col tempo la minaccia, nonostante le iniziali difficoltà e gli abbandoni, così come la sua creatrice, si è fatta sempre più concreta. Inizialmente, quando la Cina ha cominciato a testare e dispiegare un numero limitato di missili anti-satellite, alcuni leader spaziali hanno cercato di negare il vantaggio di un attacco ASAT pianificando di dispiegare numerosi piccoli satelliti disaggregati per complicare il targeting cinese e aumentare il numero di obiettivi. In pratica si auspicava che i cinesi avrebbero esaurito i missili ASAT senza essere in grado di distruggere gran parte dei satelliti che l’America aveva in orbita.
Attualmente però le cose sono cambiate, la Cina sta costruendo un quantitativo di missili molto più ingente modificandone le proprietà e la letalità. Dinnanzi ad armi a energia diretta la disaggregazione e la proliferazione dei satelliti da sole diventano insufficienti per la sopravvivenza. Molti dei nostri attuali satelliti possiedono una capacità limitata di manovra per sfuggire alle minacce, rendendoli facili prede, quindi il raggiungimento della superiorità spaziale richiederà la capacità di manovrare in modo rapido, agile e sostenuto.
Un altro problema è insito nei propellenti chimici tradizionali utilizzati negli attuali satelliti che prevedono una durata di vita limitata, aumentando la probabilità che una minaccia possa di fatto esaurirli forzando manovre difensive più di quanto possano sostenere le loro riserve di energia.
Il progresso tecnologico ha però fornito uno spiraglio di luce. La propulsione termica nucleare, chiodo fisso dei ricercatori negli ultimi cinquant’anni, fornirebbe infatti una soluzione a questa sfida anche per applicazioni spaziali difensive.
La propulsione termica nucleare fornisce una spinta molto più elevata e il doppio dell’efficienza del propellente. Funziona tramite somministrazione di calore dal reattore nucleare a un propellente liquido. Il calore converte il liquido in un gas, che si espande attraverso l’ugello del motore per fornire spinta al veicolo spaziale. Un ulteriore vantaggio è che il reattore può anche alimentare elettricamente i carichi utili della missione, estendendo notevolmente la durata della batteria ed eliminando la dipendenza dalla ricarica solare.
Vi è però un freno a livello sociale che potrebbe rallentarne l’ascesa…la comprensibile preoccupazione che aleggia attorno alla parola “nucleare”. La realtà è che i sistemi di propulsione nucleare verrebbero lanciati a freddo, cioè spenti senza rischi radioattivi, e soltanto una volta in orbita partirebbe il reattore a bordo della navicella. Dopo l’inserimento in un’orbita sicura, ovvero ad altitudini superiori all’orbita terrestre bassa, il reattore risponderebbe automaticamente alle variazioni del carico termico e manterrebbe temperature operative sicure.
Si può e si deve quindi considerare la propulsione termica nucleare sicura, affidabile ed efficiente per le operazioni nell’orbita terrestre e tra la Terra e la luna, un segmento di spazio particolarmente prolifico, e necessaria per assicurare un controllo sicuro e duraturo dello spazio.