
Premessa: una certa deriva scientista cui si sta assistendo, con un più o meno volontario dimenticarsi dell’epistemologia, è l’altro piatto della bilancia su cui poggia l’antiscientismo. Ciascuno degli estremi(smi) porta a conseguenze se non illogiche, quanto meno discutibili su più piani. Non solo un Sith vive di assoluti, ma anche entrambi quegli schieramenti che vorrebbero semplificare la società in un pro/contro senza spazio ad alcuna discussione.
Anche i movimenti NO-PRIV dei negazionisti della privacy stanno sviluppando delle varianti, alimentate per sorte o per volontà da noti e competenti membri della comunità medico-scientifica. Peccato però che tali soggetti, pur competenti, si vadano ad occupare di altro rispetto alle materie oggetto della loro eccellenza e degli studi che hanno alimentato le loro meritate glorie e che, nell’attuale contesto pandemico, hanno consentito loro gli allori di un altrettanto meritato e significativo palco mediatico.
Dal momento che la protezione dei dati personali comporta, fra l’altro, una responsabilizzazione dei soggetti e riguarda aspetti della sicurezza, è una materia complessa che andrebbe studiata anche per poter comprendere le conseguenze di un suo svilimento tramite continue proposte di “abolizione” che non tengono conto del sistema di diritti in cui è inserita.
Dunque, un po’ di continenza sarebbe raccomandabile al fine di non incorrere nella c.d. “malattia da Nobel” e cadere nelle trappole mentali che sono conseguenza di quella tempesta perfetta composta da un’eccessiva stimolazione dell’ego e l’incapacità di tacere relativamente a questioni che esulano dalle proprie competenze. Insomma: più del Lato Oscuro, la tentazione è nella tuttologia applicata (e celebrata).
Qual è il sintomo primario maggiormente evidente? Una tendenza a generalizzare con delle semplificazioni che, bene o male, trovano una convergenza nel feticcio della “privacy come ostacolo alla gestione della pandemia”.
Quale il decorso? Tendenza ad ignorare che la protezione dei dati personali consiste in un diritto fondamentale, nonché del considerando n. 4 GDPR per cui “Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo. Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità.”. Nessun diritto, dunque, è né può essere tiranno in un sistema democratico.
Quale cura può essere proposta? Astenersi dal partecipare alla boutade mediatica e assumere un po’ di rispetto per tutte le scienze, anche quelle umane e il diritto.
Al momento attuale, purtroppo, il “mal di privacy” è in prognosi riservata. Confidiamo in un decorso rapido.