
Sono reduce da un’infinita giornata trascorsa in un noto negozio di mobili svedesi in scatola di montaggio, dovendo provvedere ad alcune necessità legate alla mia ormai prossima relocation professionale in altro luogo della penisola (anzi, senza “pen”…) cui la mia Amministrazione mi ha destinato.
Ingresso ore 12:00, uscita ore 19:10. Chiaramente non dovevo comprare tovagliette e candele profumate, ma provvedere a cose più corpose di arredamento, per i quali ho avuto necessità dell’efficiente servizio di progettazione a disposizione dei clienti.
Eppure, verso le 18, in fase di finalizzazione amministrativa dell’acquisto, sia i dipendenti a fine turno che la mia famiglia erano davvero provati dalla giornata… non ci sarebbe dispiaciuto un po’ di intrattenimento, un po’ di polvere di felicità…
Ma non temete, la soluzione c’è!
Ho scoperto, grazie alla chat con i vecchi compagni del Liceo, l’esistenza di una nuova professionalità aziendale: il Chief Happiness Officer!
Al di là del titolo per un biglietto da visita originale, la filosofia dietro a tale figura prende le mosse da una visione un po’ più ampia del consueto sullo “stato di salute” di un’organizzazione, guardandola non con le lenti dell’economia, ma con quelle del benessere globale dell’azienda stessa, intesa come gruppo di persone che contribuiscono, insieme, allo svolgimento di un incarico o al compimento di una missione.
Le cosiddette ORG+ (Organizzazioni Positive) sono luoghi “in cui le persone fioriscono in relazione con altre e ottengono risultati individuali e collettivi che hanno senso e superano le aspettative”. Questa la definizione tratta dal sito www.chiefhappinessofficer.it (da cui ho tratto testualmente anche alcuni contributi di pensiero), prima realtà in Italia per la formazione e la consulenza per trasformare le compagini aziendali in Organizzazioni Positive utilizzando le formule della “chimica della positività”.
Il responsabile della felicità aziendale (C.H.O.) non è da intendere come “il giullare aziendale” ma come una figura professionale che fa del costrutto e del paradigma della felicità un elemento che avvolge e caratterizza la strategia aziendale presidiando le quattro dimensioni dell’ORG+:
- Cultural transformation
- Corporate Happiness
- Positive Leadership
- Positive Organization
Nulla di nuovo sotto il sole, sembra tutto ovvio. Ma raramente ritroviamo davvero questi quattro elementi nelle organizzazioni nostrane, e ritengo che sulla punta delle dita si possano contare quelle in cui tutti i quattro pilastri siano presenti.
La Trasformazione culturale vede l’orientamento dell’organizzazione verso un proposito “forte”, rivolto alla collettività (interna all’azienda ma soprattutto esterna, verso i “clienti”), d’impatto positivo verso la comunità ed il territorio in cui si opera, e destinato la lasciare un positivo cambiamento.
La Felicità aziendale deve diventare parte della strategia organizzativa, alleviando i rischi di depressione o demotivazione sia a tutela delle persone/lavoratori-trici, sia della conseguente efficienza aziendale. Personale poco motivato o spesso assente per malattia, problemi familiari e gestionali non adeguatamente (ri)conosciuti dall’azienda: tutti elementi, questi, che pregiudicano un fluido andamento e limitano i tassi di crescita del welfare aziendale.
La Guida positiva, ovvero l’atteggiamento dei leader (non dei “capi”) nei confronti dei coworkers, rientra nella sfera che prende in cosiderazione, per esempio, la coerenza di comportamento della dirigenza rispetto alle dichiarazioni, l’interesse a che il personale svolga con tranquillità e serenità il proprio ruolo interpretandolo come componente singola di un intero complesso, oppure ancora la convinzione che iniziative di “assistenza morale” in senso lato (palestra, intrattenimento, spazi relax, uffici “innovativi”) non vengano considerate come perdite di tempo sottratto al lavoro.
Infine, il concetto di Organizzazione positiva, nella quale i processi sono scelti, disegnati e gestiti nell’ottica di generare benessere e percezione di coerenza: decisamente sono gli elementi di un modello di cambiamento culturale, ma ciascuna di queste aree richiede uno sviluppo coerente ed un presidio molto forte capace di guidare l’azienda verso risultati sostenibili nel tempo.
Il CHO nel suo lavoro in azienda ha il compito di interfacciarsi con professionisti che dovranno condividere (ed applicare) i principi della “scienza della felicità” innestati nelle proprie competenze istituzionali, parlando in questo modo un linguaggio comune e facendo diventare la felicità un elemento di sviluppo trasversale che avvolge tutti i reparti aziendali: dalla amministrazione e controllo al finance per passare al marketing piuttosto che alla produzione o al servizio post-vendita.
In questo dialogo tra le diverse figure professionali il denominatore comune rimane sempre quello di mettere le persone al centro dando all’ organizzazione la possibilità di realizzare delle performance al di sopra delle aspettative. Il linguaggio comune rimane quello del rispetto della persona, dell’ascolto, della valorizzazione dei talenti, della fiducia e della sospensione del giudizio oltre che della gratitudine (solo per citarne alcuni). Si tratta di elementi che non possono essere messi in discussione per poter intraprendere un viaggio di trasformazione culturale verso una leadership positiva.
Le nuove figure apicali e manageriali dovranno sempre di più adottare un bilinguismo organizzativo. Significa disporre di un focus molto forte sia sulle persone che sui numeri riconoscendo importanti da un lato sia le competenze tecniche che quelle più trasversali di tipo “Soft”. È proprio attraverso questa unione che le organizzazioni potranno diventare luoghi di sviluppo di nuovi paradigmi manageriali mettendo le persone al centro dell’interesse organizzativo. Questo non significa rinunciare al fatturato, agli ordini, ecc. ma semplicemente farli arrivare in modo diverso attraverso una via nuova e come conseguenza di valori ecosistemici e non invece come obbiettivo principale dell’azienda.
E con le Pubblche Amministrazioni come la mettiamo?